Page 11 - Vita di Antonio
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dopo aver soltanto pregato, s’immerse nell’acqua insieme con quanti lo ac-
compagnavano, e passò oltre illeso. Ritornato alla sua dimora, riprese le sue
sante e giovanili fatiche. Parlando spesso, accresceva lo zelo di coloro che erano
già monaci, infiammava molti altri all’amore per la vita ascetica. In poco tempo,
per le sue esortazioni, sorsero moltissimi monasteri ed egli, come un padre,
presiedeva a tutti.
16. Un giorno, mentre usciva, tutti i monaci gli si fecero incontro e lo pregarono
di tenere un discorso. Ed egli così parlò loro in lingua egiziana: «Le Scritture
sono sufficienti all’insegnamento; ma è bene che noi a vicenda ci esortiamo
nella fede e ci incitiamo con i discorsi. Voi, come figli, riferite a me, come a un
padre, le cose che sapete. E io, essendo più anziano di voi, vi riferirò quello che
so e che ho sperimentato. Sia questa la comune aspirazione di tutti: non retroce-
diamo dopo aver cominciato, non scoraggiamoci nelle fatiche, non diciamo mai
“abbiamo praticato per molto tempo l’ascesi”. Piuttosto accresciamo lo zelo
come se incominciassimo ogni giorno. Di fronte ai secoli futuri la vita umana è
brevissima; tutto il nostro tempo è nulla rispetto alla vita eterna. In questo
modo ogni cosa si vende al giusto prezzo e lo scambio avviene sempre con cose
di ugual valore; ma la promessa della vita eterna si compra a basso prezzo.
Infatti sta scritto: “Gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i più
robusti; ma quasi tutti sono fatica, dolore” (Sal 89,10). Se perseveriamo per tutti
gli ottanta anni oppure per cento nella pratica ascetica, non regneremo soltanto
per cento anni ma regneremo nei secoli dei secoli. Se lotteremo sulla terra, non
avremo eredità sulla terra ma la promessa nei cieli. Quando deporremo il corpo
corruttibile, ne riceveremo uno incorruttibile» (1Cor 15,42).
17. «Perciò, o figli, non ci scoraggiamo, non crediamo di durare a lungo o di fare
qualcosa di grande: “Le sofferenze del momento presente non sono
paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi” (Rm 8,18). Né
guardando l’universo dobbiamo credere di aver rinunciato a grandi cose; tutta
la terra, paragonata a tutto il cielo, è piccolissima. Se noi fossimo padroni di
tutta la terra e rinunciassimo ad essa, nulla di quello a cui abbiamo rinunciato
sarebbe degno del regno dei cieli. Come uno disprezza una dracma di bronzo
per guadagnare cento dracme d’oro, così chi è padrone di tutta la terra e
rinuncia ad essa, perde poco ma fa un guadagno cento volte maggiore. Se tutta
la terra non è dega del regno dei cieli, chi perde poche arure, non perde quasi
niente; se poi lascia la casa e molto oro, non deve vantarsi né scoraggiarsi.
Dobbiamo anche tener presente che se non lasciamo le nostre cose in nome
della virtù, le lasceremo in seguito quando moriremo e spesso a persone alle
quali non vorremmo lasciarle, come ricorda l’Ecclesiaste (Qo 4,8). Perché,
dunque, non lasciarle in nome della virtù per ereditare il regno dei cieli? Per
questo nessuno di noi si lasci prendere dalla cupidigia di possedere. Che
guadagno c’è a possedere cose che non possiamo portarci con noi? Perché non