Page 81 - Vita Copta di Pacomio e Teodoro
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convento difficile, perché abitasse in un convento facile, e costui si rallegra dentro di sé
                  nell’apprenderlo,  vi  dichiaro  che  in  lui  non  abita  lo  spirito  di  Dio.  Costui  è  ricco  di
                  cuore, mentre non possiede nulla, come sta scritto: Vi sono alcuni che si fanno ricchi,
                  mentre  non  possiedono  nulla,  altri  che  si  umiliano,  mentre  sono  in  una  grande
                  ricchezza. Viceversa, se uno, che si trovava in un convento facile, è stato nominato in
                  un  convento  difficile,  e  si  affligge  per  questo,  in  lui  non  abita  lo  spirito  di  Dio
                  nell’umiltà. Infatti, l’uomo che ama veramente Dio di tutto cuore, non si rallegra d’altro
                  che  nel  veder  compiersi  un  comando  di  Dio,  o  ancora  quando  vede  il  suo  prossimo
                  compiere  progressi  nella  legge,  come  sta  scritto:  Se  un  membro  è  onorato,  tutte  le
                  membra si rallegrano con lui. La tristezza non ha presa su di lui, se non quando vede
                  qualcuno camminare nella negligenza, secondo quanto  è  scritto:  Chi  è  scandalizzato,
                  senza che io bruci? Tu dunque, o uomo apotattico, che non hai altra preoccupazione
                  all’infuori del Signore, se sei designato per un monastero di condizioni difficili, non sei
                  capace di risolverti a dire, ringraziando il Signore: Ti ringrazio di aver soltanto trovato
                  un posto dove tendere le mani a te; o anche: Perché non dovrei essere riconoscente e
                  gioioso,  visto  che  ho  adempiuto  un  comando,  praticando  l’obbedienza  e  la
                  sottomissione! E se il tentatore ha gettato nel tuo cuore un vano dispiacere, ricordati del
                  beato  Giobbe,  che,  benché  re,  fu  di  una  perfetta  rinuncia,  prima  della  venuta  del
                  Salvatore. Infatti, apprendendo la scomparsa della sua fortuna e la morte dei figli e delle
                  figlie, non solo non si avvilì, ma rinunciò anche al poco che gli restava, cioè ai vestiti e
                  ai capelli della sua testa, con gioia e benedicendo il Signore, che era la sua speranza; si
                  prostrò e l’adorò dicendo:  Come sono  uscito nudo dal  ventre  di  mia madre, nudo vi
                  rientrerò:  il  Signore  ha  dato,  il  Signore  ha  tolto,  sia  come  piace  al  Signore,  sia
                  benedetto il nome del Signore! Se questo giusto non fosse stato apotattico ogni giorno,
                  nel proposito del suo cuore, si sarebbe afflitto ed avrebbe peccato contro il Signore per
                  la scomparsa della sua fortuna. In che modo avremmo saputo queste cose, se non per la
                  parola  che  egli  pronunciò  quando  era  tentato?  Ancora  coperto  di  piaghe,  insegnò  a
                  chiunque di aver sopportato queste cose non a causa dei peccati che avrebbe commesso
                  o dell’aver gioito della ricchezza, ma perché il Signore lo metteva alla prova. Fu così
                  che disse: Se ho posto la mia ricchezza nelle pietre preziose, o se mi sono rallegrato
                  quando  mi  è  giunta  una  grande  ricchezza...  Vuole  che  tutti  quelli  che  credono  nel
                  Signore sappiano che i santi possiedono ricchezze, non in vista della soddisfazione della
                  carne  e  del  piacere,  ma  al  solo  scopo  di  nutrire  i  poveri  e  gli  indigenti,  come  un
                  intendente  messo  dal  padrone  a  capo  della  sua  fortuna  per  nutrire  i  servitori,
                  conformemente alla parabola del Vangelo. Questo giusto, infatti, si esprime così: Ero
                  occhio per i ciechi, piede per gli zoppi, ero padre per gli infelici, ecc. Allo stesso modo,
                  l’apostolo ci ha parlato della rinuncia del legislatore Mosè: questi rinunciò ad essere
                  chiamato figlio del Faraone, preferendo soffrire molto con il popolo di Dio, piuttosto
                  che  approfittare  della  gioia  passeggera  del  peccato.  Noi  sappiamo  anche  che  il
                  patriarca  Abramo  era  ricco  di  oro,  argento  e  numerosi  servitori.  Allora,  perché  non
                  siamo informati sulle molte elemosine fatte ai poveri, se non perché si compia la parola
                  dell’apostolo: Le nostre membra nobili non hanno bisogno di onori? Infatti, quando si
                  scrive che essi piacquero al Signore, è chiaro che nella ]oro vita hanno compiuto ogni
                  opera buona e ogni carità. Noi constatiamo, infatti, che di molti santi si scrive che erano
                  ricchi, e che a causa della rinunzia del cuore dichiararono di loro bocca: Siamo poveri, e
                  miserabili; come dice Davide, che pure era re: Io sono un povero, un miserabile, ma il
                  Signore è il mio pensiero. L’apostolo ugualmente ci parla dei patriarchi che salutarono e
                  confessarono: Noi siamo stranieri e pellegrini sulla terra.
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