Page 77 - Vita Copta di Pacomio e Teodoro
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agli uomini, è Teodoro. Infatti, voi sapete che già prima era per noi un padre, dopo il
nostro padre Pacomio». Detto questo si alzò e se ne andò al monastero di Seneset, dove
si stabilì.
140. Apa Orsiesi non aveva chiamato Teodoro in consiglio, perché diceva: «Non
bisogna che pronunciamo il suo nome, perché non rifiuti, nella sua profonda umiltà».
Partito apa Orsiesi i fratelli si recarono nel locale dove si trovava Teodoro; lo presero, lo
abbracciarono con gioia ed allegrezza, e gli dicevano: «Veramente in te rivive per noi il
padre Pacomio». A queste parole, Teodoro pianse, perché non acconsentiva ad occupare
tale posizione, e perché si ricordava infatti della tristezza in cui si era trovato, dopo aver
dato il proprio consenso ad altri fratelli, che in un’altra occasione gli avevano parlato
del generalato. Aveva chiesto perciò al Signore di liberarlo completamente da quei
pensieri per non rischiare di perdere il tempo, che aveva perso in sette anni.
Teodoro passò tre giorni senza mangiare né bere e continuando a piangere. Disse ai
fratelli: «Non accetterò mai, a meno di avere un incontro con l’uomo che prima ha
citato il mio nome». Il quarto giorno se ne andarono al monastero di Seneset a chiamare
Orsiesi. Quando questi arrivò, vi fu una nuova riunione a causa di Teodoro. Apa Orsiesi
gli disse: «Siamo forse stati noi a nominarti? È stato il nostro padre che ti designa per
primo, quando i ha preso per la barba dicendoti tre volte: Ricordati, Teodoro, non
lasciare le mie ossa dove sono state seppellite». A queste parole, Teodoro non contestò
più. Così, dopo averlo affidato ai fratelli, Orsiesi se ne ritornò a Seneset. Apa Teodoro
fu stabilito nella carica, e in tutti i monasteri si rallegrarono, a quella notizia, soprattutto
quelli che lo conoscevano fin dall’inizio come vero figlio di apa Pacomio, e sapevano
che la sua parola aveva la grazia e il potere di guarire l’anima che soffriva.
Prima catechesi di Teodoro
141. Quando fece la prima istruzione, apa Teodoro si sedette e disse ai fratelli: «Ecco, il
nostro padre Orsiesi si è donato tutto a noi, trascurando le proprie osservanze per la
nostra formazione, perché non si disperdessero le nostre comunità, che Dio ha riunito
grazie alle lacrime e alle pene del nostro padre. Ora dunque, fratelli, restiamo in un solo
gruppo, e in buon ordine; correggiamoci dalla negligenza e dalla noncuranza nelle quali
siamo vissuti. Non abbiamo atteso molto tempo, da che il Signore ha visitato il nostro
padre, per lasciare la sua legislazione! Per questo il diavolo ha tormentato l’anima di
molti di noi. Nell’Ecclesiaste, infatti, sta scritto: Chi demolisce un muro, il serpente lo
morderà. Non ignorate le pene e le fatiche che il nostro padre ha sopportato, nella fame,
nella sete, nelle numerose veglie, per poterci presentare puri davanti al Signore; e noi,
di nostra volontà, ci siamo sottomessi al diavolo perché ci divori, così da annullare le
fatiche che il nostro padre ha sopportato per noi». Mentre diceva queste cose, i fratelli
piangevano molto, e il rumore dei loro pianti si levava così alto che coloro, che
passavano per la strada, fuori del monastero, lo sentivano. Ogni tanto il rumore dei loro
pianti cessava, e Teodoro si metteva a piangere forte; ogni tanto sospendeva con loro le
lacrime per un momento; si asciugava il volto, dominandosi per non piangere. Fu così
che si strappò la melote, dicendo: «Dominatevi, in modo da ascoltare le mie parole».
Ricominciò a parlare: «Visto che ascoltate e piangete, lo spirito di compunzione non è
ancora del tutto spento. Un morto, infatti, anche se si cerca di tagliargli le membra, non
se ne accorge, perché è morto; ma se il soffio di vita è ancora in lui, è sufficiente