Page 24 - Vita Copta di Pacomio e Teodoro
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mi hai portato sia così poco: c’è Dio che giudica e scruta tutto». Rimase così steso e
malato fino a trascorrere due giorni senza mangiare. Ogni tanto si alzava per pregare
secondo l’ardore del suo cuore e del suo amore verso Dio. Il terzo giorno si rimise dal
suo malessere, uscì e mangiò con i fratelli.
48. Un’altra volta, fu malato al punto di trovarsi in pericolo di morte, a causa degli
eccessi della sua ascesi. Lo condussero allora nel locale dove riposavano i fratelli
malati, per farlo mangiare un po’. Era coricato lì un altro fratello, malato a tal punto che
il suo corpo era ridotto a uno scheletro, per la durata della malattia. Questi chiese ai
fratelli che lo servivano un pollo o un piccolo pesce. Ma essi glielo rifiutarono, dicendo:
«Non è nelle nostre abitudini». Il malato, vedendo che non glielo portavano, disse ai
fratelli addetti ai servizi: «Prendetemi e portatemi dai nostro padre». Quando lo ebbero
portato da lui, Pacomio fu sorpreso dallo stato in cui era ridotto. Mentre lo stava
guardando tutto perplesso, gli portarono della verdura da mangiare. Sospirò e disse:
«Voi fate eccezione di persone: dov’è dunque il timore di Dio? Amerai il prossimo tuo
come te stesso. Non vedete che questo fratello è diventato come un cadavere? Perché
non gli date ciò che domanda? Il Signore sa che se non gli date ciò che ha chiesto, io
non mangerò né berrò. Non c’è differenza tra un malato ed un altro. Non è forse tutto
puro per i puri?». Diceva questo con le lacrime agli occhi. Poi riprese: «Per la vita dei
Signore, se mi fossi trovato nel monastero quando domandò ciò che desiderava
(eravamo fuori per la raccolta della canapa) non l’avrei lasciato in così grande
afflizione, con una simile malattia». Subito i fratelli, ascoltate queste parole dalla bocca
del nostro padre Pacomio, mandarono a comperare un pollo, io fecero cucinare bene e
lo diedero al malato che mangiò. Poi diedero al nostro padre Pacomio la sua parte di
verdura. Mangiò anche lui, ringraziando.
I nuovi monasteri
49. Essendo aumentato il numero dei fratelli nel monastero di Tabennesi, il nostro padre
Pacomio si accorse che stavano allo stretto, e si mise ad implorare Dio a questo
riguardo. Fu informato da una rivelazione: «Alzati, e va’ in quel villaggio abbandonato
a nord, che si chiama Pbow; edifica lì un monastero, che diventerà per te una base e sarà
celebre per sempre». Pacomio, insieme ai fratelli, si recò al nord, in quel luogo, e vi
trascorse alcuni giorni, finché ebbe costruito il muro di cinta dei monastero. Più tardi
edificò anche una piccola sala di riunione con il permesso del vescovo di Diospolis.
Costruì le case e ne nominò i superiori, con i loro secondi, secondo l’ordinamento del
primo monastero. Egli stesso, il padre, sorvegliava i due monasteri giorno e notte, in
quanto servo del buon Pastore.
50. In seguito, un anziano asceta di nome apa Ebonh, padre del monastero di Sehneset,
conosciuta la fama del nostro padre Pacomio, gli mandò un messaggio con questa
preghiera: «Desidero che il mio monastero passi sotto la giurisdizione della
congregazione di cui Dio ti ha fatto grazia e che tu stabilisca anche per noi le regole che
ti sono state date dal cielo». Il nostro padre si recò sul posto con alcuni fratelli, e stabilì
le case con i capocasa e i loro secondi, secondo l’ordinamento degli altri due monasteri.
Egli stesso li dirigeva recandovisi spesso e incoraggiandoli nelle leggi divine e nei
lavori dei santi.