Page 104 - Vita Copta di Pacomio e Teodoro
P. 104
Dopo che il nostro padre Orsiesi ebbe così parlato agli igumeni dei monasteri ed ai
fratelli riuniti, levatosi, pregò. Essi lo abbracciarono con grande gioia, come se
vedessero il nostro padre Pacomio e Teodoro in mezzo a loro. Parteciparono al
sacrificio del terzo giorno di Teodoro. Orsiesi salutò i fratelli e ciascuno tornò al proprio
monastero in pace. Egli si recava spesso a visitare i fratelli per rafforzarli nella legge del
Signore e nei precetti del nostro padre.
209. Un altro giorno rivolse così ai fratelli la parola di Dio: «Il nostro padre rafforzava
le anime per mezzo delle sante Scritture e della perfetta scienza del Signore. Io credo
che se l’uomo non sorveglia bene il cuore, dimenticherà ciò che ha udito, e per la sua
negligenza il nemico lo vincerà e lo abbatterà. Vi racconterò una parabola che vi
stupirà. Se si trascura una fiaccola accesa, a poco a poco la fiamma si spegne e in casa
viene il buio. I topi si radunano intorno ad essa e vedendo la casa oscura e senza calore,
afferrano lo stoppino e lo divorano; fanno cadere la fiaccola e la danneggiano. Se la
fiaccola è di bronzo, il padrone di casa la troverà e l’accenderà di nuovo, ed essa
illuminerà la casa; se invece è d’argilla, si rompe e viene gettata via. Così accade
dell’anima: se è negligente, lo Spirito santo si allontana; senza la sua luce scendono le
tenebre. Il nemico divora allora l’ardore dell’anima e degrada anche il corpo con
iniquità, impurità e abominazioni di desideri cattivi perché non è stata vigilante e non ha
combattuto il nemico. Si è invece abbandonata a trascurare la salvezza ed è divenuta
estranea al regno di Dio e ai beni eterni. Nel caso che qualcuno sia naturalmente buono
davanti a Dio e semplicemente trascinato dalla negligenza, Dio misericordioso gli
ispirerà il suo amore ardente e la memoria dei castighi, perché si penta e si custodisca
poi con grande stabilità fino al giorno della morte» Fu così utile ai fratelli, spiegando
loro la parabola che aveva esposta; poi si alzò e pregò per tutti. Ciascuno si ritirò poi
nella sua dimora, recitando la parola di Dio.
210. Atanasio, arcivescovo di Alessandria, si trovava nella diocesi di Smoun, quando
venne a sapere della morte di Teodoro. Si affrettò allora a scrivere la seguente lettera,
per consolare Orsiesi e tutti i fratelli: «Atanasio, arcivescovo di Alessandria, scrive
mandando il saluto all’amato figlio Orsiesi e a tutti i fratelli della congregazione, saldi
nella fede di nostro Signor Gesù Cristo: salute! Quando sono venuto a sapere che il
beato Teodoro era morto, sono stato grandemente impressionato, conoscendo il ruolo
importante che ricopriva presso di voi, con la sua grande attività. Perciò, se veramente
Teodoro – cioè il nostro amatissimo Orsiesi – non esistesse più, vi avrei scritto a lungo e
con molte lacrime, su ciò che sarebbe accaduto dopo la sua morte. Ma Teodoro, cioè
Orsiesi che ben conosciamo, è ancora oggi in mezzo a voi; perché, benché due, non
sono che un solo uomo. Quando, infatti, uno dei due andava lontano, l’altro ne prendeva
il posto in casa. Beato Teodoro, che non ha camminato secondo il consiglio dell’empio,
cioè del diavolo e dei suoi perversi demoni! E ora, non dobbiamo piangere colui che se
ne è andato nel luogo dove non sono più lacrime, tristezza e sospiri, e che riposa con i
suoi padri e dice: Abiterò questo luogo, perché l’ho scelto Non dobbiamo rattristarci per
colui che ha fatto approdare la barca al porto della sicurezza, del riposo e della gioia.
Piaccia al cielo che ciascuno di noi si slanci, fino ad attraccare la propria barca a quel
porto! Infatti, Teodoro non è morto, ma dorme, di buon sonno, davanti al Signore!».