Page 102 - Vita Copta di Pacomio e Teodoro
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206. Tre giorni dopo, Teodoro si ammalo, e mandò chiamare Orsiesi in tutta fretta.
Giunsero anche i fratelli dei monasteri vicini a Pbow. Orsiesi, al vedere Teodoro vinto
sempre di più dal male, fu costernato: andò in chiesa con tutti i fratelli. Prostrati davanti
all’altare, piangendo, supplicarono Dio di accordargli, per intercessione del nostro padre
Pacomio, la grazia della guarigione. Il nostro padre Orsíesi disse al Signore: «Signore
dell’universo e Dio del nostro padre Pacomio, se ora ci togli Teodoro diventeremo
infelici. Sarebbe meglio che morissi io, vecchio, e che restasse Teodoro a dar coraggio
ai fratelli!». Poi tutti i fratelli alzarono la voce e versarono lacrime amare dicendo:
«Signore, pietà di noi! Sii misericordioso! Accetta la nostra preghiera e non volerci
togliere il nostro giusto padre Teodoro. Prendi piuttosto la maggior parte di noi e
lasciaci colui che ci nutre nella tua legge e nei tuoi precetti di vita!» Passarono così
parecchi giorni ad affliggersi e a pregare il Signore che accordasse la grazia della
guarigione a Teodoro, per mostrare ancora per qualche tempo ai fratelli la via della
salvezza dell’anima. Teodoro mandò poi a chiamare Orsiesi che era in chiesa e gli disse:
«Non ti affaticare, con i fratelli, a implorare il Signore per me. È cosa già ben decisa che
io vada dal Signore, come i santi padri che mi hanno preceduto». Ma Orsiesi continuava
a piangere afflitto, mentre le lacrime gli scendevano sulle gote.
Teodoro si rivolse a Psentaesi, Pacomio e agli altri anziani riuniti intorno al suo
giaciglio e disse: «Ecco, me ne vado dal Signore e dal defunto nostro padre Pacomio,
secondo il destino di tutti. Voi aiutate il nostro padre Orsiesi, in obbedienza ed umiltà,
senza mormorazione. È lui, infatti, il Testamento, io non sono che il suo luogotenente. Il
Signore sa che non era mio desiderio avere questo incarico: sono peccatore più di tutti
gli uomini della terra. In ogni modo, sia ringraziato il Signore, perché non ho mai
disobbedito in nulla a ciò che egli voleva. Non sia abbandonato alla perdizione! Ebbene,
vi assicuro, – e la mia testimonianza è nei cieli – neppure un giorno della mia vita ho
perso di vista i peccati commessi. E penso di non avere mai fatto nulla senza il
permesso di Orsiesi o al di fuori delle sue benedette decisioni o dei suoi eccellenti
consigli. Ecco, sono diciotto anni che la mia anima soffre a causa nostra. E ora, fratelli
pii e amati, se il Signore mi visita, vi chiedo di non lasciare il mio corpo dove l’avrete
deposto, ma di porre le mie ossa accanto a quelle di mio Padre». Detto ciò, Teodoro,
uomo di Dio, aprì la bocca e rese lo spirito, tranquillamente e dolcemente, il due del
mese di pasons, in pace!
207. Si produsse in quel momento un grande stupore e si sentì un dolce odore. Tutti i
fratelli si prostrarono ed esclamarono, piangendo amaramente: «Noi infelici! Oggi
siamo divenuti orfani! In realtà, è come se oggi fosse morto di nuovo il nostro padre
Pacomio. Oggi siamo infelici e miserabili, perché ricordiamo la sua buona condotta, il
suo dolce linguaggio, la sua grande umiltà, l’amore inalterabile e delicato che aveva per
ciascuno di noi!». Il nostro padre Orsiesi, con tutti i fratelli, passò la notte intera a
recitare accanto al suo venerabile corpo. Al mattino, all’ora della sinassi, avvolsero il
suo cadavere in un lenzuolo e offrirono per lui il sacrificio, il corpo e il sangue di nostro
Signor Gesù Cristo. S’incamminarono poi cantando verso la montagna, dove lo
seppellirono solennemente e magnificamente; fecero poi ritorno al monastero pieni di
tristezza, versando abbondanti lacrime.
Quella notte, il nostro padre Orsiesi con tre fratelli tornò alla montagna, là dove era
stato sepolto il corpo di Teodoro: lo tolse dal luogo dove l’avevano posto e lo seppellì