Page 100 - Vita Copta di Pacomio e Teodoro
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padrone della nostra barca, ma ha anche potere su di noi: servite Dio e lui. Noi partiamo
                  verso sud,  perché  si  avvicinano i  giorni  della Pasqua della nostra salvezza, nei  quali
                  Cristo ha sofferto per noi, salvandoci dalle mani del demonio». Giunto  il mattino, si
                  recò in città dall’arcivescovo, che lo abbracciò e gli consegnò la lettera per il nostro
                  padre Orsiesi. Teodoro, ricevuta la benedizione dell’arcivescovo, gli disse: «Ricordati di
                  noi  nelle  tue  sante  preghiere,  nostro  signore  e  padre».  L’arcivescovo  rispose:  «Se
                  dimenticassi  Gerusalemme,  dimenticherei  la  mia  destra,  cioè  voi».  Così  Teodoro  lo
                  lasciò nella pace, e gli offrì la barca e i fratelli.

                  204. Teodoro s’incamminò a piedi verso sud. Non volle salire su una delle barche che i
                  monasteri si erano procurate, perché non voleva che i monasteri si fabbricassero barche.
                  Arrivato a Seneset, abbracciò Orsiesi, cui consegnò la lettera dell’arcivescovo, e tutti i
                  fratelli.  Orsiesi  baciò  la  lettera  prima  di  leggerla  loro.  Eccone  il  testo:  «Atanasio,
                  arcivescovo di Alessandria, scrive, porgendo il suo saluto, al carissimo fratello Orsiesi,
                  e  a  tutti  i  fratelli  che  sono  con  lui,  che  amo  nel  Signore.  Salute!  Ho  visto  il  tuo
                  collaboratore nel Signore, Teodoro, uomo dotato da Dio di ogni virtù e luce in mezzo a
                  voi: ho visto il suo volto radioso, il Signore del nostro padre Pacomio che dimora in lui
                  e gli dà forza per le sue opere. In quanto a me, mi sono molto rallegrato per la gioia
                  procurataci dalla presenza cortesissima dei figli della chiesa: nostro Signore Gesù Cristo
                  dia  loro  la  ricompensa  nella  terra  dei  santi!  Il  Dio  della  nostra  pace  ci  doni  in
                  abbondanza pace, carità  e costanza per i  secoli dei  secoli, amen. Preghiamo  di  poter
                  avere qualche occasione di vedervi». Letta la lettera, si alzarono a pregare; ciascuno poi
                  fece  ritorno  alla  sua  dimora,  ringraziando  Dio  e  benedicendo  il  santo  arcivescovo
                  Atanasio.

                  Teodoro  parlò  poi  in  disparte  con  Orsiesi,  consolandolo  dell’incidente  accaduto  al
                  tempo di Apollonio, superiore di Thmousons. Questi, allora, mandava a fare acquisti per
                  i malati ad Alessandria, ma Orsiesi non aveva voluto che  U depositasse in un locale
                  sotto  la  propria  giurisdizione,  perché  sapeva  che  il  nostro  padre  Pacomio  lo  avrebbe
                  proibito. Teodoro, sapendo che si avvicinava il momento di andare dal Signore, come
                  tutti  i  suoi  padri,  pregò  Orsiesi  di  accompagnarlo  a  sud,  a  Pbow,  per  incoraggiare  i
                  fratelli.  Di  fronte  alle  pressanti  insistenze  di  Teodoro,  Orsiesi  acconsentì,  e  lo
                  accompagnò  insieme  con  i  fratelli,  verso  sud.  Giunti  vicino  al  monastero,  Teodoro
                  mandò  un  fratello  del  seguito:  «Va’,  dì  ai  fratelli  che  si  radunino  subito  ed  escano
                  incontro al nostro santo padre». Il fratello di turno in quella settimana radunò allora tutti
                  gli altri,  che uscirono cantando incontro  ad Orsiesi  e  gli diedero un  casto  bacio.  Poi
                  rientrarono cantando nel monastero, in buon ordine, modestamente, saggiamente come
                  conviene; andarono tutti a pregare nella chiesa del monastero.

                  Teodoro convinse poi Orsiesi a sedersi e a rivolgere ai fratelli la parola di Dio, come nel
                  passato.  Orsiesi  obbedì  umilmente,  ed  espose  lunghe  considerazioni  sulle  Scritture.
                  Teodoro,  seduto,  ascoltava  come  tutti  gli  altri,  con  il  volto  chino  a  terra,  versando
                  lacrime per le penetranti parole che ascoltava dalla bocca di Orsiesi e dicendo con le
                  labbra e con il cuore: «Io sono figlio di Orsiesi e suo luogotenente».

                  Benché  in  due,  erano  come  un  solo  uomo,  e  ognuno  li  ammirava  e  li  lodava  per  la
                  dolcezza del loro amore. Nello stesso tempo, amavano Dio con tutta l’anima e con tutto
                  il cuore, come aveva loro raccomandato il perfetto nostro padre Pacomio. Teodoro si
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