Page 25 - Utilità del Credere
P. 25
12. 26. Se, dunque, non si deve credere a ciò che non si sa, chiedo come i figli
possano sottomettersi ai loro genitori e come possano amare con reciproco
affetto coloro che non credono essere i loro genitori. In nessun modo, infatti,
è possibile conoscere il padre con la ragione, ma lo si crede tale per
l’interposta autorità della madre; e neppure per quanto riguarda la madre
stessa, invero, si crede alla madre, ma alle ostetriche, alle nutrici, alle ancelle.
Infatti colei a cui il figlio può essere sottratto e sostituito con un altro, non
può forse ingannare, dal momento che è stata ingannata? Pur tuttavia noi
crediamo, e lo crediamo fermamente, ciò che riconosciamo di non poter
sapere. Chi non vedrebbe infatti che, se così non fosse, l’amore, che è il più
sacro dei legami del genere umano, sarebbe profanato dalla più insolente
delle malvagità? Chi dunque, anche se insensato, considererebbe colpevole
colui che avesse reso le dovute dimostrazioni di affetto a coloro che credeva
essere i suoi genitori, anche se non lo erano? Chi, al contrario, non avrebbe
giudicato meritevole di essere scacciato colui che avesse amato pochissimo
quelli che forse erano i suoi veri genitori, temendo di amare quelli falsi?
Sono molti gli argomenti che si possono portare per mostrare che non c’è
assolutamente nulla dell’umana società che non ne risulterebbe danneggiato,
qualora avessimo deciso di non credere a niente che non possiamo
considerare come percepito.
Soltanto il sapiente, dunque, non pecca.
12. 27. Ma ora ascolta ciò di cui ormai confido di poterti convincere più
facilmente. Quando si tratta di religione, cioè di adorare e di comprendere
Dio, quelli che devono essere meno seguiti sono coloro che ci dissuadono dal
credere, promettendoci subito la ragione. Nessuno dubita, in effetti, che tutti
gli uomini sono o stolti o sapienti. Ora però chiamo sapienti non gli uomini
avveduti e pieni d’ingegno, ma quelli che possiedono, per quanto è possibile
all’uomo, una conoscenza ben salda e provata dello stesso uomo e di Dio,
con una vita e dei costumi in armonia con essa; tutti gli altri, invece, quali
che siano le competenze e incompetenze di cui dispongono e quale che sia il
modo di vivere che tengono, meritevole di elogio o di biasimo, li ascriverai al
numero degli stolti. Stando così le cose, chi, per quanto poco intelligente,
non vedrebbe chiaramente che per gli stolti è più utile e salutare
sottomettersi ai precetti dei sapienti che non condurre la vita secondo il
proprio giudizio? Poiché tutto ciò che si fa, se non lo si fa in maniera retta, è
peccato: e in nessun modo può essere fatto in maniera retta ciò che non
procede dalla retta ragione. La retta ragione, poi, non è altro che la stessa
virtù. Ma in quale degli uomini si trova la virtù, se non nell’animo del
sapiente? Soltanto il sapiente, dunque, non pecca. Di conseguenza, ogni
stolto pecca, fuorché in quelle azioni nelle quali ha obbedito al sapiente; tali
azioni, infatti, procedono dalla retta ragione, e lo stesso, per così dire, deve