Page 9 - Sulla vita cenobitica o comune
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stessa natura, sottomessi al peccato, tenuti al debito della morte, ci impone un
triplice vincolo: carità, umiltà e benevolenza.
«Amerai il prossimo tuo come te stesso», dice il Signore. Sulle motivazioni dei
divini comandi dovrebbe bastare a frenare ogni troppo curiosa investigazione il
fatto che così ha ordinato Dio i cui comandi sono tutti fedeli, eseguiti con
fedeltà e rettitudine; se tuttavia si deve proprio soddisfare su questo l’umana
curiosità, a chi è preoccupato di sapere perché Dio ci chiede di osservare con
cura questo precetto la fede non è certo incapace di rispondere. L’intima
consapevolezza della fede sa che Dio ama Colui che è della sua stessa sostanza,
compartecipe della sua natura; e osservando questo, può rispondere all’uomo:
«Anche tu fa’ lo stesso, ama colui che è compartecipe della tua natura e che
vivrà assieme a te nella gloria che ti è stata promessa. Ama la tua natura, ama
ciò che per nascita sei. Così non ti accadrà di amare te stesso senza amare
nell’altro la natura che è in te». Ad amare colui che è partecipe della nostra
natura siamo trascinati dall’esempio di Dio stesso, siamo spinti dall’autorità di
colui che ci istruisce, siamo costretti dalla comunione di natura. Nella coscienza
della comune debolezza dobbiamo umiliarci gli uni davanti agli altri, aver
compassione gli uni degli altri. Una debolezza inerente alla nostra stessa
condizione tutti ci unifica: non ci divida l’orgogliosa autoglorificazione. Non ha
ancora imparato ad amare se stesso colui che si ritiene autorizzato a disprezzare
nell’altro la comune natura; fa grave torto alla propria condizione colui che non
riconosce il proprio diritto nell’immagine di Dio; calpesta il diritto dell’umano
consorzio colui che non onora nel prossimo la comunione della natura; si
preclude l’accesso alla misericordia colui che di fronte alle necessità del fratello
non sa trarre dal cuore uno slancio di compassione.
Questo per quanto riguarda la comunione di natura.
VI. LA COMUNIONE DI GRAZIA
Vi è una certa comunione di grazia che abbraccia indistintamente in una stessa
professione di fede e in un’unica partecipazione sacramentale tutti coloro che,
buoni o cattivi, appartengono alla fede cristiana. E questo il campo in cui
crescono la zizzania e il frumento, è l’aia in cui il grano è mescolato alla paglia,
è la rete in cui si trovano pesci buoni da raccogliere nei canestri e pesci cattivi da
buttar via, è l’arca di Noé in cui sono animali mondi e immondi, il corvo e la
colomba. Perché hanno la fede anche quelli le cui opere non si accordano con la
fede; partecipano ai sacramenti della chiesa anche quelli che con una vita
indegna vanificano in se stessi la forza del sacramento. Così, anche se
comunicano ai sacramenti nella stessa confessione di fede, sono separati gli uni
dagli altri come lo sono i buoni dai cattivi. Si possono contare fra questi anche
gli scismatici, che si sottraggono al giogo dell’obbedienza canonica, e i falsi
fratelli, che simulano, più che osservare, l’umiltà della fede cristiana. Del tutto
particolare, anzi unica, è invece la comunione dei giusti, che nella fede e
nell’obbedienza ad essa conseguente partecipano ai sacramenti della chiesa. Di