Page 13 - Sulla vita cenobitica o comune
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comunione dello Spirito santo procede quel comunicare che è necessario a
quanti fanno vita comune perché possano far vita comune. L’amore di Dio
opera l’unità dello spirito. Chi infatti si unisce al Signore diventa uno spirito
unitosi L’amore di Dio, che è lo stesso per il quale Dio viene amato a sua volta,
è dunque necessario in modi diversi a quanti vivono in solitudine e a quanti
vivono in comune. E simile all’amore che è Dio è l’amore che è proprio della
vita comune. Dio ama la giustizia, tanto più quanto più essa è grande; e odia
l’iniquità, tanto più quanto più essa è grande. Quanto alle realtà temporali, nelle
quali e a causa delle quali la superbia umana tende sempre a gloriarsi, l’invidia
a ingelosire, la cupidigia a litigare, la voluttà a godere, Dio vuole che noi le
disprezziamo, più che amarle: e ciò a causa dell’amore e del desiderio delle
realtà eterne. Tuttavia per un uso moderato richiesto dalle esigenze umane, al
di fuori di ogni lusso superfluo, egli ci permette di usarne, poiché egli detesta
chi osserva inutilmente le vanità. Se dunque l’amore di Dio che è in noi è in
accordo con l’amore con cui Dio ci ama sì da amare ciò ch’egli ama, da tendere
alle realtà più alte seguendo sempre ciò che più è in grado di appagare il suo
bisogno di perfezione, da considerare degne di disprezzo quelle cose che Dio
desidera siano disprezzate in un’attenzione instancabile a evitare anche i più
lievi peccati, allora quest’amore di Dio opera in noi l’unità dello spirito.
L’unigenito Figlio di Dio vive con Dio Padre nell’unità dello Spirito santo,
poiché lo Spirito del Padre è uno con il Figlio: nello stesso modo anche noi
viviamo come figli d’adozione sottomessi a Dio Padre nell’unità dello spirito,
nel quale gridiamo: «Abbà, Padre!». Gridiamo di lontano, in un’inferiorità
incommensurabile. Ma tuttavia siamo in qualche modo simili, anche se non
come l’unigenito Figlio di Dio che sta alla destra del Padre uguale a lui in tutto.
Infatti di lui è detto non che grida, ma che invoca, come sta scritto: «Egli mi
invocherà: Tu sei mio Padre».
Quest’unità che l’amore di Dio costruisce in noi viene poi conservata nel
vincolo della pace attraverso la grazia del Signore nostro Gesù Cristo. Egli è la
nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo. Per la sua nascita cantano
gli angeli: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona
volontà». Ed egli stesso prima di salire al cielo dice ai discepoli: «Vi lascio la
pace, vi dò la mia pace». Che è mai questa pace che da Cristo ci vien data e nel
cui vincolo è conservata l’unità dello spirito? È la reciproca carità della quale
cerchiamo di amarci l’un altro. Essa non viene rotta finché diciamo le stesse
parole e non vi sono scissioni fra noi. Di essa parla il beato Pietro quando
ammonisce: «Soprattutto conservate una reciproca ininterrotta carità». Che
significa reciproca carità, se non «ciò che è mio è anche tuo»? Questo è quanto
dico se parlo dei miei beni con una persona che amo. Se invece io ti amo senza
essere amato da te, o se, amato da te, io non ti amo, non si può ancora parlare di
reciproca carità, perché questa non può essere soltanto mia o soltanto tua: la
reciproca carità è comune, non può esser privata della comunione d’amore. E
oltre a essere reciproca deve anche essere ininterrotta, altrimenti non vi sarà né
vincolo di pace né legame d’amore. È ininterrotta quella carità che è fondata
sulla verità, che non viene spezzata da rancori o da sospetti, che anzi viene