Page 18 - Sulla vita cenobitica o comune
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prossimo. E la grazia di Dio si volge in gloria di Dio allorché il dono di Dio fatto
a ciascuno in particolare viene riportato al bene comune; a sua volta la
comunione dello Spirito santo è veramente con noi quando quel dono
particolare che è dato a ogni singolo viene posseduto in comune grazie alla
comunione dell’ amore.
XI. DALLA COMUNIONE DI GRAZIA
ALLA COMUNIONE DI GLORIA
Lo Spirito santo è comunione; ama tanto la comunione da voler lui stesso essere
dato. Egli è la benevolenza stessa. Non è pago di dare ciò che è suo, vuole dare
tutto se stesso: tuttavia solo a quanti egli ha reso degni di accogliere un sì
grande dono. Poiché egli è dono: fin dall’eternità è stato il più grande bene, il
più grande dono. E colui che, ricevuta la grazia di Dio, la comunica veramente
al prossimo perché ne tragga giovamento, possiede allora veramente ciò che ha
ricevuto. A lui che ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha sarà
tolto anche quello che ha. La grazia di Dio, affidata a noi e da noi ricevuta,
acquista il nome e la funzione di un prestito. Chi la riceve viene infatti vincolato
a Dio e al prossimo: a Dio per render gloria, al prossimo per comunicare la
grazia. Chi comunica la grazia ha misericordia del prossimo, chi rende gloria
riporta a Dio.
Ebbene, questo è il giusto: chi ha misericordia e riporta. Sarebbe ingiusto se non
restituisse il debito, se impugnasse l’accordo sottoscritto, se non accettasse il
calcolo di ciò che gli viene affidato e che egli riceve. È stato scritto in proposito:
«L’empio prende in prestito e non restituisce». Prende in prestito quando
riceve; non restituisce quando non paga ciò che deve. Per questo è peccatore,
perché prende in prestito e non restituisce. Non restituisce perché non
comunica al prossimo e non glorifica Dio. Dio esige, dalla grazia che ha
riversato su di noi, anche quel che ancora non ci ha dato. Richiede l’interesse,
miete dove non ha seminato e raccoglie ciò che non ha sparso. Miete nei
malvagi, raccoglie nei buoni. Ai malvagi invierà infine i mietitori, gli angeli; e
condannerà quelli che non gli avranno fatto avere alcun guadagno, allorché gli
angeli coglieranno la zizzania e la legheranno in fastelli per bruciarla. I buoni
invece li riporrà come grano nel suo granaio, ricompensando in essi ciò che lui
stesso ha dato, il guadagno fattogli avere e che egli riceve. Così facendo
raccoglie ciò che non ha sparso: da se stesso non ha sparso senza coloro ai quali
ha dato. Sono questi che hanno sparso, nel momento in cui hanno comunicato al
prossimo i doni ricevuti. Sono andati e hanno portato frutto, come quelli di cui
è scritto: «Nell’andare, andavano e piangevano, gettando la loro semente». Vi è
dunque una durezza del Signore: ma essa riguarda ciò che è detto dei malvagi,
non ciò che è detto dei buoni. Se si volessero intendere queste affermazioni
come riferite entrambe ai malvagi, oppure entrambe ai buoni, occorrerebbe
ammettere in qualche modo, fatta salva la bontà di Dio, che il Signore è duro,
poiché per mostrare la sua durezza verso uno dei due o verso entrambi egli
direbbe sia «Mieto dove non ho seminato» che «raccolgo dove non ho sparso».