Page 19 - Sulla vita cenobitica o comune
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Dio è dunque un Signore duro? Chi oserebbe dire questo? E chi oserebbe
contraddire lo Spirito di Dio? Non dice forse il profeta, parlando nello Spirito,
«con l’uomo santo tu sei santo e con il perverso tu sei astuto»? E lo stesso
profeta, dopo aver detto: «Quanto è buono Dio con Israele» aggiunge: «Con gli
uomini dal cuore puro». Ecco con chi è buono. Il Signore si mostra duro con
quanti sono duri di cuore. Costoro egli stesso li indurisce, e il suo giudizio è
giusto, anche se nascosto.
A questo punto forse parrà che io distrugga quel che prima ho edificato. Ho
cominciato a parlare della benevolenza e dell’amore di Dio, e ho portato il
discorso a mostrare la durezza della sua indignazione contro i malvagi. Ma è
vero che talvolta la verità appare più chiaramente dal confronto di realtà
contrarie. Sta scritto ad esempio: «Lo Spirito di sapienza è amico degli uomini, e
non libererà il maledetto dalle sue labbra». Perché l’amicizia di Dio per gli
uomini non venga presa per una possibilità di peccare con sicurezza, quasi che
Dio non intenda punire severamente i peccati, dopo aver detto: «Lo Spirito di
sapienza è amico degli uomini» aggiunge: «Non libererà il maledetto dalle sue
labbra». È amico di quegli uomini che in una ricerca di comunione amano
rapportarsi continuamente al loro prossimo; è amico di colui che possiede per
l’altro il bene che ha; di colui che ama nell’altro il bene di cui è privo e che l’altro
possiede.
Due sono i modi in cui le grazie di Dio, suddivise tra gli uomini, vengono
ricondotte alla comunione: quando i doni fatti ai singoli personalmente
vengono posseduti in comune per la comunione dell’amore, e quando essi
vengono amati in comune per l’amore della comunione. Una grazia è in qualche
modo vissuta in comune da chi la possiede e da chi non la possiede quando chi
la possiede la possiede per l’altro poiché la comunica, e chi non la possiede la
possiede nell’altro poiché l’ama. La comunione dello Spirito santo porta a
mettere in comune anche le sofferenze e le debolezze dell’uno e dell’altro. Se
infatti la carità è paziente, capace di patire, essa è anche capace di compatire; e
chi compatisce con colui che patisce fa sua la sofferenza di un altro, sì che
quell’unica sofferenza divenga comune a entrambi: per l’uno sarà un piangere
nei patimenti, per l’altro sarà un compiangere nell’affetto. E se le sofferenze dei
giusti sono comuni, di conseguenza anche le loro consolazioni saranno comuni:
chi per l’affetto che viene dalla carità sa piangere con chi piange sa anche
rallegrarsi con chi si rallegra.
Che sovrabbondanza d’affetto, che viscere di carità sono rivelate dalle parole
dell’apostolo! Ascoltiamolo: «Chi è debole, che anch’io non lo sia? Chi riceve
scandalo, che io non ne frema?». Ciò ch’egli fa, anche gli altri devono farlo:
«Portate i pesi gli uni degli altri». E non si contraddice quando aggiunge:
«Ciascuno porterà il proprio fardello», perché qui si tratta chiaramente del
fardello del peccato. Solo il peccato non è ammesso alla comunione della carità.
Ma tutto ciò che facciamo di bene ha la sua utilità in comunione, anche se poi i
vari beni non sono comuni in ugual misura a coloro che amano. Noi speriamo
di aiutarci a vicenda pregando e acquistando meriti gli uni per gli altri presso
Dio; e dai meriti e dalle preghiere dei santi che amiamo e dai quali desideriamo