Page 11 - Sulla vita cenobitica o comune
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un’anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma
ogni cosa era fra loro comune». Perché l’essere un cuore solo e un’anima sola,
così come la comunione di ogni cosa, fanno la vita comune. E questa riproduce
in terra la vita degli angeli, per quanto lo permette l’umana fragilità. Infatti
coloro che hanno un cuore solo e un’anima sola e ogni cosa in comune, che
dunque sono in ogni cosa concordi e unanimi anteponendo sempre la generale
utilità e il bene comune ai vantaggi personali, rinunziano totalmente a se stessi
e alle proprie cose: e così, nelle decisioni come nelle discussioni, non ardiscono
difendere con ostinazione il proprio modo di sentire, né abbarbicarsi con
tenacia alla propria volontà nel profondo del cuore, né possedere qualche cosa
anche minima in proprietà personale. Così si comportano quanti vivono questa
realtà, se veramente l’accettano dall’interno. Non solo: a causa di Dio essi si
umiliano, da veri servi di Dio, sotto la mano del loro compagno di servizio. In
tal modo il sentire di tutti discende dal volere di uno che detiene, per dono,
ogni potere, e dal quale sono anche orientate le volontà e fra loro contemperate
le diverse necessità: poiché lui solo ha il potere di volere e di non volere. Gli
altri rinunziano alla loro libertà e al loro potere: ad essi non è lecito volere ciò
che vogliono, né potere ciò che possono, né sentire ciò che sentono, e neppure
essere ciò che sono e vivere secondo il proprio spirito. Possono vivere solo
secondo lo Spirito di Dio dal quale sono mossi, per essere figli di Dio. Fra di essi
lo Spirito di Dio è amore, legame e comunione: più è grande l’amore, più forte è
il legame e più piena la comunione, e viceversa: più è grande la comunione, più
forte è il legame e più pieno l’amore.
Chiamo qui amore quello che ci porta a voler amare Dio prima di ogni cosa e
sopra ogni cosa, che informa ogni vita buona di quanti vivono in solitudine
come di quanti vivono in comunità affinché sia buona: perché non può essere
ritenuta una vita buona quella che l’amore di Dio non ha reso buona. Anzi, essa
non è neppure una vita, è l’immagine della morte. Gli uomini che amano se
stessi e servono i loro desideri, anche se vivono sono già morti, così come scrive
l’apostolo a proposito della vedova che si dà ai piaceri: «La vedova che si dà ai
piaceri, anche se vive è già morta». Vive davvero solo chi consente con la
volontà di Dio, poiché la vita è nella sua volontà. E accetta di amare davvero
Dio chi consente con la sua volontà: è questo infatti il modo in cui Dio vuole che
si cerchi di amarlo, che si consenta con la sua volontà.
È d’altronde questo anche il modo in cui noi vogliamo essere amati, che si
consenta con noi in una volontà unanime; e più uno consente con noi più è
considerato amico. Sì, l’amore ama il consentimento, sempre, perché ama la
comunione, di cui il consentire è parte: chi consente, sente in comunione con
l’altro. Ma poiché l’uomo può avere una volontà buona o una volontà cattiva,
egli può essere amato bene o male. È meglio esser preso in odio bene che essere
amato male, così come è meglio odiare bene che amare male. Bene amare e bene
odiare: due cose buone, due cose di cui siamo debitori al nostro prossimo. Ecco
perché ci è comandato di amare i nemici e di prendere in odio gli amici. Questo,
proprio questo è stato necessario prescrivere, e questo comando è stato
opportuno ricevere perché la nostra volontà, precipitosa com’è nell’odiare i