Page 13 - Spiegazione del Credo
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persone pie debbono osservare l’ubbidienza anche a costo della morte, morendo egli
stesso il primo per essa.
14. Ma forse qualcuno si potrebbe spaventare ad ascoltare una tale dottrina: infatti
trattiamo ora della morte di colui che poco fa abbiamo detto essere sempiterno insieme
con Dio Padre e generato dalla sua sostanza, e che abbiamo insegnato essere una cosa
sola col Padre per regno eternità maestà. Ma non voglio che ti spaventi, o fedele
ascoltatore: colui che ora senti dire morto, fra poco di nuovo lo vedrai immortale. Infatti
egli accoglie la morte per depredare la morte.
Infatti il mistero dell’incarnazione, che or ora abbiamo esposto, è stato determinato da
questo motivo: che il Figlio di Dio nella sua divina potenza, come un amo, rivestito di
aspetto umano e, secondo quanto ha detto or ora l’apostolo, reso nell’aspetto come un
uomo (Fil 2, 7), potesse invitare alla lotta il principe del mondo. Consegnando a questo
la sua carne come esca, egli lo ha afferrato grazie all’amo della divinità che gli si era
profondamente conficcato dentro, e con l’effusione del sangue immacolato – infatti solo
lui non conosce macchia di peccato – ha distrutto i peccati di tutti: di quelli almeno che
avevano segnato col suo sangue la porta della loro fede (Es 12, 7). Se un pesce afferra
l’amo ch’è nascosto dall’esca, non soltanto porta via l’esca insieme con l’amo ma egli
stesso è strappato via dall’acqua, per essere poi esca per gli altri pesci: così anche colui
che esercitava l’impero della morte ha portato via il corpo di Gesù per darlo alla morte,
senza accorgersi che dentro quel corpo era nascosto l’amo della divinità; così quando
l’ha divorata, egli stesso subito è rimasto attaccato e, rotti i cancelli dell’inferno, è tirato
via quasi che fosse tratto fuori dal profondo del mare, al fine di essere esca per altri.
Che così sarebbe stato già lo aveva prefigurato il profeta Ezechiele con la stessa
immagine dicendo: «Ti tirerò fuori con il mio amo e ti distenderò sulla terra. I campi
saranno ripieni di te e radunerò su di te tutti gli uccelli del cielo e sazierò di te tutte le
bestie della terra» (Ez 32, 3-4). Anche David dice: «Lo ha dato come esca ai popoli
d’Etiopia» (Sal 73, 14). E Giobbe parla in modo analogo sullo stesso mistero: afferma
infatti in persona di Dio che gli parla: «O condurrai il dragone con un amo o porrai una
cavezza intorno alle sue narici» (Giob 40, 20).
15. Perciò Cristo ha patito nella carne senza danno o offesa per la sua divinità ma al fine
di operare la salvezza per mezzo della debolezza della carne, la natura divina è discesa
nella morte, non per essere trattenuta dalla morte secondo la legge delle creature
mortali, ma per aprire le porte della morte a quelli che grazie a lui sarebbero risorti. È
come se un re si rechi ad una prigione ed entrato dentro apra le porte, sciolga catene e
ceppi, infranga cancelli e chiavistelli, conduca fuori alla libertà quelli che erano
incatenati e restituisca alla luce e alla vita quelli che sedevano nell’oscurità e all’ombra
della morte (Sal 106, 10). Diremo allora che il re, certo, è stato in prigione, ma tuttavia
non nella condizione che era stata di quelli che venivano tenuti in prigione: ma quelli vi
erano tenuti per scontare le pene, egli invece c’è venuto per rimettere le pene.
16. Quelli che hanno tramandato il Simbolo hanno anche indicato nel modo più preciso
il tempo in cui tutto ciò è avvenuto: sotto Ponzio Pilato, per evitare che la tradizione dei
fatti, incerta e generica in qualche parte, riuscisse meno probante. Bisogna poi sapere
che nel Simbolo della Chiesa di Roma non è aggiunta l’espressione discese nell’inferno,
ed essa non è in uso neppure nelle Chiese d’Oriente: ma lo stesso concetto di queste
parole è espresso là dove è detto che egli è stato sepolto.
RUFINO DI AQUILEA – Spiegazione del Simbolo pag. 11 di 27