Page 84 - Sermone sul Cantico dei cantici (II)
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dell’uomo ti darà gloria, e il resto del pensiero ti farà festa (Sal 75,11). Dunque, poiché
                  con  la  parola  e  l’esempio  del  Profeta  il  suo  pensiero  profetico  poteva  esser
                  conosciuto,  subito  il  Profeta  ne  faceva  una  pubblica  confessione,  e  ne  traeva
                  materia per lodare il Signore tra il popolo, riservando il resto del pensiero a sé e
                  a Dio, facendo festa con lui nella letizia e nell’esultanza (Sal 44,16). Questo volle
                  significarci  con  il  citato  versetto.  Di  tutto  quello,  cioè,  che  quel  suo  pensiero
                  avido di scrutare riusciva a scavare dal segreto della sapienza, ne impartiva la
                  parte che poteva per la salvezza dei popoli mediante una sollecita predicazione;
                  il resto, che la gente non poteva comprendere, lo impiegava con festoso giubilo
                  nelle  divine  lodi.  Vedi  come  la  santa  contemplazione  utilizza  tutto,  e  tutto
                  quello che non può essere impiegato per l’edificazione dei popoli può diventare
                  molto bene gioconda e bella lode aDio (Sal 146,1).

                  III. 4. Stando così le cose, ne deriva che vi sono due generi di contemplazione:
                  uno circa lo stato, la felicità e la gloria della città celeste, che cosa faccia o come
                  sia  il  riposo  di  quella  immensa  moltitudine  di  celesti  cittadini,  l’altro  circa  la
                  stessa  maestà  del  Re,  la  sua  eternità,  la  sua  divinità.  Il  primo  nella  maceria,
                  l’altro  nella  roccia.  Ma  quest’ultima  specie  di  contemplazione,  quanto  è  più
                  difficile  da  scavarsi,  altrettanto  quello  che  scavi  è  più  dolce  e  saporoso.  Né
                  temere la minaccia della Scrittura per coloro che scrutano la maestà. Porta solo
                  un  occhio  puro  e  semplice;  non  sarai  oppresso  dalla  gloria,  ma  vi  sarai
                  ammesso, a meno che non cerchi la gloria di Dio, ma la tua. Diversamente uno
                  viene oppresso dalla sua propria gloria, non da quella di Dio, mentre tendendo
                  a questa sua gloria non gli lascia alzare la testa a quella di Dio, in quanto resa
                  pesante  dalla  cupidigia.  Liberiamoci  da  questa  e  scaviamo  nella  Pietra  nella
                  quale  sono  nascosti  i  tesori  della  sapienza  e  della  scienza.  Se  ancora  dubiti,
                  ascolta la stessa Pietra: Quelli che per me operano non peccheranno (Eccli 24,30). Chi
                  mi  darà  ali  come  di  colomba,  perché  possa  volare  e  riposarmi?  (Sal  54,7).  Là  trova
                  riposo il mansueto e il semplice, mentre invece chi ha l’inganno nel cuore viene
                  schiacciato,  come  il  superbo  e  colui  che  è  avido  di  vanagloria.  La  Chiesa  è
                  colomba,  e  perciò  riposa.  Colomba  perché  innocente,  perché  geme.  Colomba,
                  dico,  che  nella  mansuetudine  accoglie  la  parola  seminata  in  lei.  E  riposa  nel
                  Verbo, cioè nella Pietra, poiché la pietra è il Verbo. La Chiesa è, dunque, nelle
                  fenditure della roccia, attraverso le quali guarda dentro e vede la gloria del suo
                  Sposo; né tuttavia viene oppressa da questa gloria, perché non la usurpa per sé.
                  Non viene schiacciata perché non è scrutatrice della maestà, ma della volontà.
                  Poiché, per quanto riguarda la maestà, ogni tanto osa fissare in essa lo sguardo,
                  ma come per ammirare, non per scrutare. E se talvolta capita di venire rapiti in
                  estasi nella contemplazione di essa, è questo l’effetto del dito di Dio che eleva
                  l’uomo, non temerità dell’uomo che cerca di invadere insolentemente i segreti
                  di Dio. L’Apostolo, infatti, quando ricorda di essere stato rapito, quasi si scusa
                  di aver osato tanto; chi altro mai dei mortali presumerebbe con propri sforzi di
                  intricarsi con importuna contemplazione e orrenda investigazione della divina
                  maestà  e  irrompere  nei  divini  arcani?  Gli  scrutatori,  pertanto,  della  maestà,
                  penso si possano dire quelli che irrompono, non quelli che sono rapiti in essa,
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