Page 78 - Sermone sul Cantico dei cantici (II)
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I. 1. Sorgi, amica mia, mia sposa, e vieni (Cant 2,13). Dimostra lo Sposo il suo
grande amore ripetendo parole d’amore. Questa ripetizione infatti è espressione
d’affetto; e nuovamente sollecita la diletta al lavoro delle vigne, mostrando la
sua sollecitudine per la salvezza delle anime. Poiché già abbiamo detto che per
vigne si intendono le anime. Non è il caso di soffermarci inutilmente su ciò che
è stato già detto. Andiamo avanti. In nessun luogo tuttavia, come ricordo, di
tutto questo lavoro, aveva ancora nominato espressamente la sposa, se non
adesso mentre si va alle vigne, quando ci si avvicina al vino della carità.
Quando questa verrà e sarà perfetta compirà lo spirituale connubio; e saranno
due, non in una sola carne, ma in un solo spirito, secondo il detto dell’Apostolo:
Chi aderisce a Dio forma un solo spirito (1 Cor 6,17).
2. Segue: Mia colomba, nelle fessure della roccia, nelle aperture della maceria, mostrami
il tuo volto, fammi sentire la tua voce (Cant 2,14). Ama e continua con le
espressioni amorose. La chiama nuovamente con fare carezzevole, la dice sua,
affermando che gli appartiene; e quello che essa era solita chiedere con
insistenza a lui, ora viceversa è lui a chiedere di vederla e di parlarle. Si
comporta da Sposo, ma come Sposo verecondo ha vergogna del luogo pubblico,
e stabilisce di godere delle sue delizie in luogo appartato, cioè nelle fenditure
della roccia e nelle aperture della maceria. Pensa dunque che lo Sposo dica così:
«Non temere, amica mia, quasi che questi lavori delle vigne ai quali ti esortiamo
impediscano o interrompano l’esercizio dell’amore. Vi sarà qualche modo per
cui poter realizzare quello che parimenti desideriamo. Ecco, le vigne hanno
delle macerie, e queste degli angoli bene adatti per noi». Questo secondo il
gioco della lettera. Perché non chiamarlo gioco? Che cosa ha di serio questa
stesura della lettera? Quello che suona all’esterno non è neppure degno del
nostro ascolto, se al di dentro lo Spirito non aiuta la debolezza della nostra
intelligenza. Non restiamo dunque fuori, perché non sembri che stiamo a
descrivere i lenocini di turpi amori, che non sia mai, e offrite pudiche orecchie
al discorso che stiamo facendo sull’amore; e quando pensate agli amanti stessi
non vi immaginate un uomo e una donna, ma il Verbo e l’anima. E se dirò
Cristo e la Chiesa è la stessa cosa, sennonché con il nome di Chiesa viene
designata non una sola anima, ma l’unità, o piuttosto l’umanità di molte anime.
E neppure per «fessure della roccia» o «aperture della maceria» intendete dei
nascondigli simili a quelli degli operatori di iniquità, perché non vi sia alcun
sospetto di opere delle tenebre.
3. Un altro ha così commentato questo passo, chiamando «fessure della pietra»
le piaghe di Cristo. Giusto davvero. Cristo è infatti la pietra. Buone fessure, che
provano la resurrezione di Cristo e la sua divinità. Signore mio, dice Tommaso, e
Dio mio! (Gv 20,28). Da dove riportiamo questo oracolo se non dalle fenditure
della pietra? In queste il passero ha trovato per sé una casa, e la tortora il nido dove
deporre i suoi piccoli (Sal 83,4); in queste la colomba si trova al sicuro e guarda
senza paura lo sparviero che vola all’intorno. E perciò dice: Mia colomba nelle
fessure della roccia. Voce della colomba: Mi solleva sulla rupe (Sal 26, 6); e ancora: I