Page 68 - Sermone sul Cantico dei cantici (II)
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di lavoro. Sapete di quale inverno io parli, quel timore che non c’è nella carità,
                  che pur essendo per tutti inizio della sapienza non perfeziona nessuno, perché
                  sopravvenendo la carità lo scaccia come l’estate fuga l’inverno. Estate davvero è
                  la carità, che se già è venuta, anzi perché è venuta come è giusto che io pensi di
                  voi  ha  necessariamente  prosciugato  ogni  pioggia  invernale,  vale  a  dire  ogni
                  lacrima di ansietà che prima spremeva l’amaro ricordo del peccato e il timore
                  del giudizio. Dunque, lo dico senza esitare, e se non di tutti voi certamente di
                  molti, questa pioggia è cessata e se n’è andata, già compaiono i fiori, segno di
                  una pioggia più soave. Anche l’estate ha le sue piogge soavi e feconde. Che cosa
                  più dolce delle lacrime della carità? Piange infatti la carità, ma per amore, non
                  per tristezza: piange per il desiderio, piange con chi piange. Di tale pioggia non
                  dubito  vengano  irrorati  con  abbondanza  gli  atti  della  vostra  obbedienza,  che
                  lieto  considero  non  resi  tetri  dalla  mormorazione,  non  semioscuri  dalla
                  tristezza,  ma  giocondi  e  floridi  per  un  certo  spirituale  gaudio.  Essi  appaiono
                  come se sempre portaste fiori nelle mani.

                  12.  Dunque,  se  l’inverno  è  passato,  la  pioggia  è  cessata  e  se  n’è  andata,  se
                  nuovamente sono apparsi i fiori nella nostra terra e un certo tepore primaverile
                  di grazia spirituale indica venuto il tempo della potatura, che resta se non che ci
                  applichiamo tutti a questo lavoro così santo, così necessario? Scrutiamo, secondo
                  il Profeta, le nostre vie (Lam 3,40) e i nostri sentimenti, e ognuno pensi di aver
                  fatto progresso non per il fatto di non aver trovato nulla in sé di reprensibile,
                  ma  quando  avrà  disapprovato  ciò  che  di  male  ha  trovato.  Allora  non  ti  sei
                  scrutato invano se hai avvertito che avevi ancora bisogno di esaminarti; e ogni
                  volta che la tua ricerca non ti ha ingannato, sempre penserai di ripeterla. Se poi
                  fai sempre questo quando occorre, lo fai sempre. Ricordati, dunque, che sempre
                  ti sarà necessario il divino aiuto e la misericordia dello Sposo della Chiesa Gesù
                  Cristo nostro Signore, che è sopra tutte le cose Dio benedetto nei secoli. Amen.



                                                    SERMONE LIX


                  I. Il motivo per cui lo Sposo dice: nella nostra terra. II. La voce o il gemito della tortora, quando
                  probabilmente  si  è  fatta  sentire.  III.  Perché  si  parla  di  una  tortora  soltanto;  la  castità  della
                  tortora. IV. Udendo la voce e vedendo il fiore, cioè attraverso i segni, la fede si rafforza.


                  I. 1. La voce della tortora si fa sentire nella nostra terra (Cant 2,12). Non posso ormai
                  più  dissimularlo:  ecco,  colui  che  è  dal  cielo  parla  della  terra,  con  tanta
                  degnazione, tanto amichevolmente, come uno della terra. È questi lo Sposo, il
                  quale avendo premesso che i fiori erano apparsi sopra la terra aggiunse: nostra;
                  ed ora ancora dice: La voce della tortora si fa sentire nella nostra terra. Dunque, ci
                  sarà una ragione per un modo di parlare così inconsueto, per non dire indegno
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