Page 67 - Sermone sul Cantico dei cantici (II)
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9. Poiché, essendo tutti quelli che avevano creduto investiti di una forza
dall’alto, sorsero tra di essi degli uomini che si dimostrarono forti nella fede,
disprezzando le minacce dei malvagi. Ebbero a soffrire molte contraddizioni,
ma non vennero meno, né cessarono di compiere e di annunziare le opere di
Dio. Secondo, infatti, quanto è detto nel Salmo, in senso però spirituale:
Seminarono campi e piantarono vigne, e ne raccolsero frutti abbondanti (Sal 106, 37).
Con il passar del tempo la tempesta si calmò, e tornata la pace sulla terra
crebbero le vigne, si propagarono e dilatarono e si moltiplicarono oltre misura.
E allora la sposa viene invitata a recarsi alle vigne, non per piantare, ma per
potare quello che era già piantato. Ed era opportuno che fosse così, perché
questo lavoro richiedeva un tempo di pace. E quando mai si sarebbe potuto
compiere in tempo di persecuzione? Del resto prendere in mano spade a due
tagli, compiere la vendetta tra i popoli e punire le genti, stringere in catene i
loro capi e i loro nobili in ceppi di ferro, per eseguire su di essi il giudizio già
scritto questo infatti significa potare le vigne queste cose dico, si possono fare
appena in tempo di pace. E di questo basta.
IV. 10. Il sermone poteva finire qui se avessi prima ammonito ognuno di voi,
come sôno solito fare, riguardo alla propria vigna. Chi infatti ha tagliato via da
sé così radicalmente ogni cosa superflua che non ci sia più nulla in lui che abbia
bisogno di potatura? Credetemi, anche le cose stroncate ripullulano, e quelle
allontanate ritornano, si riaccendono le spente, e le sopite si risvegliano di
nuovo. È poca cosa, dunque, l’aver potato una volta; bisogna potare spesso,
anzi possibilmente sempre, perché sempre, se sei sincero, trovi qualche cosa da
potare. Per quanto progresso tu abbia fatto fino a che resti in questo corpo,
sbagli se pensi che i vizi siano morti, e non piuttosto mortificati. Che tu lo
voglia o no, nei tuoi confini abita il Gebuseo: può essere soggiogato, ma non
sterminato. So, dice l’Apostolo, che non abita in me il bene (Rm 7,18). È poca cosa
se non confessa che c’è anche in lui il male. Dice: Io non compio il bene che voglio,
ma il male che non voglio. Ora, se faccio quello che non voglio non sono più io a farlo,
ma il peccato che abita in me (Rm 7,19-20). Dunque, o tu osi crederti migliore
dell’Apostolo, perché è lui che parla così di sé, oppure devi ammettere con lui
che anche tu non sei privo di vizi. La virtù tiene il mezzo tra i vizi, e quindi ha
bisogno di una accurata potatura, non solo, ma di una circoncisione. Altrimenti
c’è da temere che stretta tutt’intorno e rosa dai vizi, mentre tu non te ne accorgi
essa languisca poco a poco, e se quelli aumentano venga soffocata. In tanto
grande pericolo è necessario osservare diligentemente, e appena appariranno le
teste dei vizi che rinascono, subito con pronta severità troncarle. Non può la
virtù crescere di pari passo con i vizi. Dunque, perché essa prosperi non si
permetta ad essi di ripullulare. Togli le cose superflue e nascono quelle salutari.
Va ad aumentare l’utile quanto sottrai alla cupidigia. Applichiamoci alla
potatura. Sia potata la cupidigia, e sarà rinforzata la virtù.
11. Per noi, fratelli, è sempre tempo adatto alla potatura, come sempre è tempo