Page 37 - Sermone sul Cantico dei cantici (II)
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2. E poi non mancano neanche tra di noi quei felici che hanno meritato di essere
                  rallegrati  di  questo  dono,  e  così  in  se  stessi  hanno  fatto  esperienza  di  questo
                  soavissimo arcano; ma non screditiamo il passo della Scrittura che abbiamo tra
                  le mani, dove  apertamente  viene descritto lo  Sposo  celeste  oltremodo zelante
                  per il riposo di una certa sua diletta, sollecito nel tenerla addormentata tra le
                  sue braccia, perché non sia disturbata da qualche molestia o inquietudine nel
                  suo dolcissimo sonno. Non sto in me stesso dalla gioia per il fatto che quella
                  maestà  non  disdegna  di  chinarsi  sulla  nostra  infermità  con  una  unione  così
                  familiare e dolce, e la superna Deità non ha difficoltà a stabilire un connubio
                  con  un’anima  ancora  esule  e  a  manifestarle  l’affetto  di  uno  Sposo  preso  da
                  ardentissimo amore. Così, così non dubito sia in cielo, come leggo sulla terra, e
                  sentirà certamente l’anima ciò che contiene la pagina, se non che questa non è in
                  grado  di  esprimere  totalmente  quanto  quella  allora  potrà  comprendere  e
                  neppure ora può capire. Che cosa pensi che potrà allora ricevere quella che fin
                  da quaggiù è favorita da tanta familiarità da sentirsi stretta dalle braccia di Dio,
                  riscaldata dal seno di Dio, custodita dalla cura e dall’amore di Dio, perché nel
                  sonno non sia disturbata da qualcuno, fino a che da sé si risvegli?

                  II. 3. Ma su, è tempo che diciamo, se possiamo, di che specie sia quel sonno di
                  cui lo Sposo vuole che la sua delicata diletta dorma, e dal quale non sopporta
                  che sia riscossa, se, non quando essa lo vuole; perché non accada che qualcuno,
                  leggendo  quanto  scrive  l’Apostolo:  È  ormai  tempo  di  svegliarvi  dal  sonno  (Rm
                  13,11), la preghiera che fa il Profeta perché Dio illumini i suoi occhi perché non
                  si addormenti mai nella morte (Sal 12,4), resti turbato dall’equivoco dei nomi, e
                  non sappia come pensare degnamente del sonno della sposa di cui si parla in
                  questo passo. E non è simile a questo neppure quello di cui parla il Signore nel
                  Vangelo  a  proposito  di  Lazzaro:  Lazzaro,  il  nostro  amico,  dorme;  andiamo  a
                  svegliarlo dal sonno (Gv 11,11). Questo infatti diceva della sua morte corporale,
                  mentre i discepoli lo intendevano del sonno naturale. Ora, questo della sposa
                  non è un sonno consistente nel dormire, o placido, dove i sensi carnali restano
                  soavemente  assopiti  per  un  certo  tempo,  oppure  orrido,  che  distrugge
                  totalmente la vita; e molto di più differisce il sonno della sposa da quel dormire
                  per cui ci si addormenta nella morte, quando si persevera irrevocabilmente nel
                  peccato mortale. Ma piuttosto il vitale e vigile sopore di costei illumina il senso
                  interiore, e cacciata la morte, dona la vita sempiterna. È in realtà un sonno che
                  tuttavia non assopisce i sensi, ma li rende assenti. È anche una morte e non esito
                  a dirlo, perché l’Apostolo, lodando alcuni che ancora vivevano nella carne, così
                  dice loro: Voi siete morti, e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio (Col 3,3).

                  4. Pertanto, anch’io chiamerei non a torto l’estasi della sposa una morte, che non
                  strappa alla vita ma ai lacci della vita, perché possa dire: La nostra anima è stata
                  liberata come un uccello dai lacci dei cacciatori (Sal 123,7). In questa vita, infatti, si
                  cammina in mezzo ai lacci, dei quali non si ha timore tutte le volte che l’anima
                  viene come strappata a se stessa da qualche santo e forte pensiero, se tuttavia la
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