Page 29 - Sermone sul Cantico dei cantici (II)
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che volete che gli uomini facciano a voi? (Mt 7,12).

                  4.  E  non,  dico  questo  perché  siamo  senza  affezione,  e  con  cuore  arido
                  muoviamo solo le mani per operare. Ho letto tra gli altri grandi e gravi mali
                  degli uomini, descritti dall’Apostolo, anche questo: senza affetto (Rm 1,31).

                  II. Ma c’è un affetto che proviene dalla carne, e ve n’è uno che è guidato dalla
                  ragione,  e ce n’è  uno che produce  la sapienza. La prima affezione  quella che
                  l’Apostolo dice che non è soggetta alla legge di Dio, né lo può essere; la seconda
                  all’opposto è quella che descrive consenziente alla legge di Dio, perché è buona;
                  e non c’è dubbio che c’è di stanza tra l’essere consenziente e l’essere opposta. La
                  terza è molto distante dall’una e dall’altra, e questa gusta e sperimenta quanto è
                  dolce il Signore che elimina la prima e rimunera la seconda. La prima infatti è
                  dolce, ma turpe; la seconda è secca, ma forte; l’ultima è pingue e soave. Per la
                  seconda,  pertanto,  si  compiono  le  opere,  e  in  essa  la  carità  siede:  non  quella
                  carità  affettiva  la  quale,  crescendo  con  il  condimento  del  sale  della  sapienza
                  porta alla mente la grande moltitudine delle dolcezze del Signore; ma piuttosto
                  una  certa  carità  attiva,  la  quale,  anche  se  non  ristora  ancora  soavemente  con
                  quel  dolce  amore,  accende  tuttavia  fortemente  dell’amore  di  lui. Non vogliate,
                  dice, amare con le parole e con la lingua, ma con opere e verità (1 Gv 3,18).

                  5. Vedi come passa cautamente tra l’amore vizioso e l’affettuoso, distinguendo
                  dall’uno  e  dall’altro  questa  carità  fattiva  e  salutare.  Né  in  questa  dilezione
                  riceve  la  finzione  della  lingua  bugiarda,  né  esige  il  gusto  che  sperimenta  la
                  sapienza.  Con  le  opere,  dice,  amiamo  e  con  verità  (1  Gv  3,  18):  dobbiamo  cioè
                  muoverci a operare il bene più per impulso della viva verità che per affetto di
                  quella  saporosa  carità.  Ha  ordinato  in  me  la  carità.  Quale  delle  due?  L’una  e
                  l’altra,  ma  con  ordine  opposto.  Poiché  l’attiva  preferisce  le  cose  inferiori,
                  l’affettiva quelle superiori. Infatti: nella mente ben affezionata non vi è dubbio
                  che l’amore di Dio sia da anteporre all’amore dell’uomo, e fra gli uomini i più
                  perfetti siano da preferire  ai più  deboli, il cielo alla terra, l’eternità  al tempo,
                  l’anima al corpo. Tuttavia in una attività ben ordinata spesso, o anche sempre,
                  si  trova  un  ordine  opposto.  Così  riguardo  alla  cura  del  prossimo,  più  ci  sta
                  vicino e più ce ne occupiamo, assistiamo con più diligente premura i fratelli più
                  infermi; lavoriamo più per la pace in terra che per la gloria del cielo, per diritto
                  di  umanità  e  spinti  dalla  stessa  necessità;  la  preoccupazione  delle  cure
                  temporali a stento ci permette di pensare alle cose eterne; e ci occupiamo quasi
                  di continuo delle infermità del nostro corpo, posponendo la cura dell’anima; e
                  le stesse nostre membra più inferme, come dice l’Apostolo, circondiamo di più
                  grande onore e rispetto, mettendo in atto con ciò in un certo modo il detto del
                  Signore: Gli ultimi saranno i primi e i primi gli ultimi (Mt 20,16). Infine, chi dubita
                  che parli con Dio un uomo che prega? E tuttavia quante volte da quel colloquio
                  siamo distolti e strappati per ordine della carità, per andare da quelli che hanno
                  bisogno  della  nostra  opera  o  della  nostra  parola!  Quante  volte  la  pia  quiete
                  piamente cede ai tumulti degli affari! Quante volte con buona coscienza si mette
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