Page 28 - Sermone sul Cantico dei cantici (II)
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raccolto per me, affinché non andassero perduti. E andranno perduti se non li
                  offrirò  a  nessuno.  Perché,  se  vorrò  tenerli  per  me  solo,  io  perirò. Non  voglio
                  pertanto privare di essi il vostro appetito, che ben conosco, specialmente perché
                  vengono dall’alimento della carità, tanto più gustosi quanto più fini, tanto più
                  saporiti  quanto  più  minuti.  Diversamente  sarebbe  gravemente  mancare  alla
                  carità  il  defraudare  della  stessa  carità.  Dunque  sono  qui:  Ha ordinato in me la
                  carità.

                  2. C’è la carità effettiva e quella affettiva. Circa la prima che consiste nelle opere
                  penso sia stata data una legge agli uomini, e ci sia un preciso comandamento.
                  Riguardo quella che è nell’affetto, chi ne possiede tanta quanto è comandata? La
                  prima, dunque, è comandata per il merito, questa altra è data in premio. Non
                  neghiamo che con la grazia di Dio si possa sperimentare l’inizio e il progresso
                  nella presente vita, ma riserviamo la sua perfezione alla felicità futura. Come
                  dunque potrebbe essere oggetto di comando quella che in nessun modo si può
                  realizzare completamente? O se a te piace che sia stato dato un precetto per la
                  carità affettiva, io non discuto, purché anche tu ammetta che questa da nessun
                  uomo  può  essere  praticata  in  questa  vita  nella  sua  perfezione.  Chi  infatti
                  oserebbe arrogarsi quello che Paolo confessa di non aver raggiunto? Non sfuggì
                  al Maestro che il peso del precetto eccedeva le forze degli uomini, ma giudicò
                  utile  ammonirli  con  il  fatto  stesso  della  sua  insufficienza,  affinché  sapessero
                  bene  a  quale  perfezione  della  giustizia  fosse  necessario  tendere,  secondo  le
                  forze.  Dunque,  comandando  cose  impossibili  non  si  rendono  gli  uomini
                  prevaricatori,  ma  umili,  perché  sia  chiusa  ogni  bocca  e  tutto  il  mondo  sia
                  soggetto  a  Dio,  perché  dalle  opere  della  legge  non  sarà  giustificato  nessun
                  uomo  davanti  a  lui.  Ricevendo  dunque  il  comando,  e  sentendo  la  nostra
                  deficienza, grideremo verso il cielo e Dio avrà misericordia di noi, e sapremo in
                  quel giorno che egli ci ha salvato non per le opere di giustizia che noi avremo
                  fatto, ma secondo la sua misericordia.

                  3. E questo direi nel caso che ammettiamo che sia stata data una legge circa la
                  carità affettiva. Però questo sembra convenire piuttosto alla carità attiva, perché
                  dopo  aver  detto:  Amate  i  vostri  nemici,  il  Signore  ha  aggiunto  subito  circa  le
                  opere: Fate del bene a quelli che vi odiano (Lc 6,27).
                  E così la Scrittura: Se il tuo nemico avrà fame dagli da mangiare, se avrà sete dagli da
                  bere (Rm 12,20). Qui si parla di atti, non, di affetto. Ma senti anche il Signore che
                  comanda  circa  l’amore  di  Lui:  Se mi amate, osservate i miei comandi (Gv  14,15).
                  Anche  qui  ci  si  rimanda  alle  opere  con  l’ingiunzione  di  osservare  i
                  comandamenti. Ora sarebbe stato superfluo ammonire di compiere le opere, se
                  già ci fosse stata la dilezione dell’affetto. In questo senso devi pure prendere le
                  parole con cui ti si comanda di amare il prossimo tuo come te stesso, sebbene
                  non  sia  espresso  così  chiaramente.  Non  ti  è  forse  sufficiente  per  adempiere
                  questo comandamento dell’amore del prossimo osservare alla perfezione quello
                  che è prescritto a ogni uomo secondo la legge di natura: Non fare ad altri quello
                  che non vuoi sia fatto a te (Tb 4,16). E così quell’altro: Fate agli altri tutte quelle cose
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