Page 23 - Sermone sul Cantico dei cantici (II)
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spirito che vivifica (Gv  6,64).  E  non  ignoro  che  qualcuno,  vivente  ancora  nella
                  carne,  ha  detto:  Anche  se  abbiamo  conosciuto  Cristo  secondo  la  carne,  ora  non  lo
                  conosciamo più così (2 Cor 5,16). Questo per San Paolo. Ma noi che non abbiamo
                  ancora meritato di essere rapiti in paradiso, non ancora al terzo cielo, cibiamoci
                  frattanto  della  carne  di  Cristo,  veneriamo  i  misteri,  seguiamone  gli  esempi,
                  conserviamo la fede, e così in verità viviamo alla sua ombra.

                  8. Mi sono seduta all’ombra di colui che avevo desiderato. Forse la sposa si gloria di
                  aver sperimentato qualche cosa di più felice nello Sposo, per il fatto che dice
                  non  di  vivere,  come  il  Profeta,  ma  di  essersi  seduta  all’ombra  dello  Sposo.
                  Sedere,  infatti,  equivale  a  riposarsi.  Ora,  dice  di  più  riposare  all’ombra  che
                  vivere, come vivere è più che essere semplicemente all’ombra. Il Profeta applica
                  dunque a sé ciò che è comune a molti dicendo: Viviamo alla sua ombra; la sposa,
                  invece, si vanta della sua singolare prerogativa di sedersi a questa sua ombra.
                  Così con fatica viviamo noi che, consci dei nostri peccati, serviamo il Signore
                  con timore, mentre la sposa devota e amante soavemente riposa.  Il timore ha .
                  con sé la pena (2 Gv 4,18), l’amore la soavità. Perciò dice: Il suo frutto è dolce al mio
                  palato  (Cant  2,3),  intendendo  il  gusto  della  contemplazione  di  lui,  che  aveva
                  ottenuto  soavemente  innalzata  per  l’amore.  Ma  questo  nell’ombra,  perché
                  attraverso uno specchio e in modo oscuro (1 Cor 13,12). E sarà, quando cadranno le
                  ombre con il crescere della luce, anzi, saranno del tutto scomparse, e subentrerà
                  la chiara e perpetua visione, e non solo vi sarà dolcezza al palato, ma sazietà del
                  ventre,  senza  fastidio  e  nausea  però:  Mi  siederò  all’ombra  di  colui  che  avevo
                  desiderato, e il suo frutto è dolce al mio palato. Anche noi mentre la sposa riposa,
                  facciamo una pausa glorificando per il gusto ricevuto il Padre di famiglia che ci
                  ha invitato a questo banchetto, lo Sposo della Chiesa Gesù Cristo nostro Signore
                  che e sopra ogni cosa Dio benedetto nei secoli. Amen.



                                                    SERMONE XLIX


                  I. La cella vinaria, che è la chiesa primitiva o lo zelo della giustizia che arde nell’amore per la
                  contemplazione di Dio. II. La discrezione è la carità ben ordinata. III. Come ciò che secondo la
                  ragione è da anteporre, si debba talora posporre in base all’ordine della carità e come di ciò che
                  torna a maggior gloria di Dio si debba maggiormente godere. IV. Quale utilità traiamo in base
                  all’ordine della carità.

                  I. 1. Il Re mi ha introdotto nella cella del vino e ha ordinato in me la carità (Cant 2,3).
                  Come  sembra  indicare  il  senso  letterale  di  questa  affermazione,  dopo  il
                  desiderato,  dolce  e  oltremodo  familiare  colloquio  avuto  con  il  diletto,  partito
                  questo,  la  sposa  ritorna  alle  giovinette,  così  ripiena  e  accesa  dalla  vista  e  dal
                  colloquio con lui da apparire simile a una ubriaca. E ad esse che si stupiscono
                  per la novità della cosa e .ne chiedono la ragione risponde che non fa meraviglia
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