Page 188 - Sermone sul Cantico dei cantici (II)
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sospira,  l’ardore  dell’amante,  la  fiducia  ardimentosa  per  il  fatto  che  non  può
                  correre  a  pari  con  un  gigante,  contendere  per  dolcezza  con  il  miele,  per
                  mansuetudine con l’agnello, per candore con il giglio, per splendore con il sole,
                  per  carità  con  colui  che  è  carità?  No.  Poiché,  anche  se  la  creatura  ama  meno
                  perché è inferiore, tuttavia, se ama con tutta se stessa nulla manca dove è tutto.
                  Perciò, come ho detto, amare così equivale ad aver celebrato le nozze, perché
                  non può amare così ed essere poco amata, e nel mutuo consenso dei due  sta
                  l’integro e perfetto connubio. A meno che qualcuno dubiti che l’anima sia dal
                  Verbo  amata  prima  e  di  più.  Essa  è  del  tutto  prevenuta  nell’amore  e  vinta.
                  Felice  colei  che  ha  meritato  di  essere  prevenuta  con  la  benedizione  di  tanta
                  dolcezza.  Felice  lei,  a  cui  fu  dato  di  sperimentare  l’insieme  di  tanta  soavità!
                  Questo altro non è che l’amore santo e casto, l’amore soave e dolce, amore tanto
                  sereno e sincero, amore vicendevole, intimo e forte, che unisce due non in una
                  sola carne ma in un solo spirito e fa sì che due non siano più due ma una cosa
                  sola, come dice Paolo: Chi aderisce a Dio forma con Lui un solo spirito (1 Cor 6,17).
                  E ora piuttosto ascoltiamo lei su questo argomento, lei resa facilmente maestra
                  su ogni cosa, sia dall’unzione maestra, sia dalla sua frequente esperienza. Ma
                  forse è meglio che riserviamo questo al principio di un altro sermone, per non
                  restringere una cosa buona negli stretti limiti di questo che sta per finire. E se
                  siete contenti finisco appunto prima del tempo affinché domani ci ritroviamo
                  affamati a gustare le delizie dell’anima santa di cui merita, beata, di godere con
                  il Verbo e a proposito del Verbo suo Sposo Gesù Cristo Signore nostro, che è
                  sopra tutte le cose Dio benedetto nei secoli. Amen.



                                                  SERMONE LXXXIV


                  I. Un gran bene sia cercare Dio, e a questo l’anima è prevenuta dallo Sposo quando la volontà
                  viene ispirata. II. A quale anima spetta cercare il Verbo e che cosa significhi essere ricercata dal
                  Verbo; all’anima incombe questa necessità non al Verbo.


                  I. 1. Nel mio lettuccio per notti cercai l’amato dell’anima mia (Cant 3,1). È un gran
                  bene cercare Dio, io non lo considero secondo a nessuno dei beni dell’anima. È
                  il primo tra i doni, ultimo nei profitti. Non si aggiunge a  nessuna virtù, non
                  lascia il posto a nessuna di esse. A quale virtù si pub aggiungere se nessuna lo
                  precede?  A  quale  è  inferiore,  essendo  piuttosto  la  perfezione  di  tutte?  Quale
                  virtù, infatti, vi può mai essere in colui che non cerca Dio, o quale è la misura
                  della  ricerca  di  Dio?  Cercate,  dice,  sempre  il  suo  volto  (Sal  104,4).  Penso  che
                  neanche  quando  sarà  stato  trovato  si  cesserà  di  cercarlo.  Non  con  passi
                  materiali,  ma  Dio  si  cerca  con  il  desiderio.  E  certamente  non  diminuisce
                  l’acutezza del santo desiderio il fatto di averlo felicemente trovato, ma anzi io
                  dilata.  La  consumazione  della  gioia  è  forse  la  distruzione  del  desiderio?  È
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