Page 183 - Sermone sul Cantico dei cantici (II)
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la probità dei costumi la libertà della natura, per giusto giudizio del Creatore
                  avvenne non che fosse spogliata dalla propria libertà, ma che fosse sovravestita
                  di vergogna come di un mantello (Sal 108,29). E ha detto bene: come di un mantello,
                  doppia veste, il che prova che rimane la libertà per la volontà, e insieme vi è la
                  necessità  dimostrata  dalla  condotta  servile.  Questo  è  da  notare  riguardo  alla
                  semplicità e immortalità dell’anima; e se consideri bene nulla ti apparirà in essa
                  che  non  sia  coperto  da  questa  duplice  veste  della  somiglianza  e  della
                  dissomiglianza. Non è forse una veste doppia dove non innata, ma appiccicata e
                  quasi cucita con l’ago del peccato viene sovrapposta la frode alla semplicità, la
                  morte all’immortalità, la necessità alla libertà? Né la duplicità del cuore porta
                  pregiudizio alla semplicità dell’essenza, né all’immortalità della natura la morte
                  o  i  volontari  peccati,  o  le  necessità  del  corpo;  e  neanche  la  necessità  di  una
                  volontaria schiavitù pregiudica la libertà dell’arbitrio.

                  III.  Pertanto,  quando  queste  cose  avventizie  non  succedono,  ma  accadono  ai
                  beni della natura, li deturpano, ma non li distruggono. Quindi, l’anima non è
                  più  simile  a  Dio,  non  è  più  simile  a  se  stessa.  Quindi,  viene  paragonata  alle
                  bestie irragionevoli e diventa simile ad esse; di qui ancora quello che si legge, di
                  avere essa scambiato la sua gloria con l’immagine di un toro che mangia fieno.
                  Quindi gli uomini, come le volpi, hanno la fossa della duplicità e della frode; e
                  siccome  si  sono  fatti  simili  a  volpi  avranno  parte  con  loro;  quindi,  secondo
                  Salomone, è uguale la fine dell’uomo e delle bestie (Eccli 3,19). Perché non avere la
                  medesima  fine  quando  è  stata  medesima  la  vita?  Come  le  bestie  l’uomo  si  è
                  buttato sulle cose terrene, come le bestie lascia la terra. Senti un’altra cosa: che
                  c’è  di  strano  se  abbiamo  una  medesima  fine  avendo  un  simile  principio?  Da
                  dove hanno gli uomini se non dalla somiglianza cori le bestie, e l’intemperante
                  ardore sessuale e il dolore così vivo nel parto? Così l’uomo, nel concepimento e
                  nella nascita, nella vita e nella morte, è paragonato agli animali irragionevoli ed
                  è divenuto simile ad essi.

                  6. Perché mai una libera creatura non tiene soggetto a sé l’appetito e lo regge da
                  padrone,  ma  lo  segue  e  obbedisce  come  una  schiava?  Non  si  accomuna  essa
                  anche in questo agli altri animali che la natura non ha chiamati a libertà, ma ha
                  creato schiavi per servire al loro ventre e obbedire all’istinto? Non si vergogna
                  Dio di mostrarsi o farsi stimare simile a una tale anima? Per questo dice: Hai
                  stimato iniquamente che io sia simile a te (Sal 49,21), e continua: Ti rimprovero e ti
                  pongo innanzi i tuoi peccati (ivi). Non può un’anima che vede se stessa stimare
                  Dio simile a sé, un’anima almeno come la mia, peccatrice e iniqua. A una tale
                  anima  Dio,  infatti,  rivolge  il  rimprovero:  Hai  pensato  iniquamente,  non
                  semplicemente;  hai pensato che io sia simile a te. Ma se  si pone  l’iniquo davanti
                  alla sua faccia, e si fermi davanti al volto malato e fetido del suo uomo interiore,
                  di modo che gli sia impossibile distogliere lo sguardo o dissimulare l’impurità
                  della  sua  coscienza,  ma  veda  anche  suo  malgrado  l’immondezza  dei  suoi
                  peccati, e scorga la deformità dei suoi vizi, certamente non potrà pensare che
                  Dio  sia  simile  a  sé;  ma  quasi  scoraggiato  per  tanta  dissomiglianza  penso  che
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