Page 182 - Sermone sul Cantico dei cantici (II)
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i figli di Adamo che non dico voglia, ma sopporti di apparire quello che è? Ma
                  continua  ciò  nonostante  ad  esistere  in  ogni  anima,  con  l’originale  doppiezza,
                  una  generale  semplicità,  per  cui  al  confronto  cresce  la  confusione;  rimane
                  ugualmente  l’immortalità,  ma  fosca  e  tetra,  con  l’irrompere  della  tenebrosa
                  caligine della morte, ormai non riesce più ad assicurare il beneficio della vita al
                  suo corpo. Ciò non stupisce, dal momento che non conserva per sé neppure la
                  sua  vita  spirituale.  L’anima,  infatti,  che  avrà  peccato  morirà  (Ez  18,4).  Col
                  sopraggiungere  di  questa  duplice  morte,  quell’immortalità  che  l’anima
                  conserva non viene forse resa abbastanza tenebrosa e miserella? Aggiungi che
                  gli appetiti terreni che spingono tutti alla morte, rendono fitte le tenebre, sicché
                  in  un’anima  così  vivente  nulla  si  vede  apparire  da  qualche  parte  se  non  la
                  pallida  faccia  e  una  certa  immagine  della  morte.  Perché,  infatti,  essa  che  è
                  immortale non appetisce cose immortali ed eterne, perché apparisca quello che
                  è e viva secondo il suo essere? Invece, ha gusti contrari e cerca cose opposte, e
                  conformandosi  alle  cose  mortali  con  una  condotta  degenere,  tinge  il  candore
                  dell’immortalità con una specie di colore di pece di una mortifera consuetudine.
                  Perché l’appetito delle cose mortali non renderebbe essa che è immortale simile
                  a  un  mortale,  rendendola  dissimile  dall’immortale?  Chi  tocca  la  pece,  dice  il
                  Saggio, ne rimarrà sporcato (Eccli 31,1). Godendo delle cose mortali si riveste di
                  mortalità, e scolora, senza deporla, la veste dell’immortalità, per il sopravvenire
                  della somiglianza della morte.

                  4.  Pensa  ad  Eva  come  la  sua  anima  immortale  copri  la  gloria  della  sua
                  immortalità con le vernice della mortalità, amando le cose mortali. Perché mai
                  essendo  immortale,  non  disprezzò  le  cose  mortali  e  transitorie,  contenta  di
                  quelle simili a lei immortali ed eterne? Vide, dice, che l’albero era bello a vedersi e
                  buono da mangiare (Gen 3,6). Non è tua, o donna, questa soavità, questo diletto,
                  questa bellezza, e se è tua per parte del tuo corpo di fango, non è soltanto tua
                  ma l’hai in comune con tutti gli animali della terra. Quella che è veramente tua
                  è un’altra ed ha un’altra origine: è, infatti, eterna, ed è dall’eternità. Perché tu
                  imprimi nell’anima tua un’altra forma, anzi una deformazione che non è tua?
                  Infatti, ciò che piace avere si teme di perderlo, e il timore è un colore. Questo,
                  mentre  tinge  la  libertà  la  ricopre  e  la  rende  per  questo  dissimile  a  se  stessa.
                  Quanto sarebbe più degno della sua origine che nulla bramasse e quindi nulla
                  temesse,  e  così  difendesse  la  sua  innata  libertà  da  ogni  servile  timore,
                  conservandole  il  suo  vigore  e  la  sua  bellezza!  Ahimè,  non  è  così:  Mutato  è
                  l’ottimo colore. Tu fuggi e ti nascondi, senti la voce del Signore Dio e ti nascondi.
                  Perché  questo  se  non  perché  temi  colui  che  amavi,  e  la  forma  di  schiava  ha
                  ricoperto la bellezza della libertà?

                  5. Ma anche quella volontaria necessità e la legge contraria inflitta alle membra,
                  della  quale  ho  parlato  nel  sermone  precedente,  incide  sulla  libertà  e,  mentre
                  seduce,  rende  schiava  per  propria  volontà  la  creatura  libera  per  natura,
                  coprendo la sua faccia di ignominia, sicché serva almeno con la carne alla legge
                  del peccato, anche non volendo. Poiché, dunque, ha trascurato di difendere con
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