Page 177 - Sermone sul Cantico dei cantici (II)
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sottomessa non per suo volere, ma per volere di colui che l’ha sottomessa nella speranza
(Rm 8,20). Tuttavia l’anima è immortale perché essendo essa vita a se stessa,
come non può cessare di essere così non può cessare di vivere. Tuttavia,
essendo provato che essa muta nei suoi affetti, riconosce che essa è simile a Dio
nell’immortalità, ma che le manca una non piccola parte di questa immortalità,
lasciando l’assoluta e perfetta immortalità a Dio solo, presso il quale non vi è
alcuna mutazione né ombra di cambiamento. Tuttavia, da questa discussione è
emersa la grande dignità dell’anima, che vediamo avvicinarsi per una certa
doppia affinità di natura alla natura del Verbo, cioè per la semplicità
dell’essenza e la perpetuità della vita.
6. Ma mi viene in mente una cosa che non voglio tralasciare: una cosa che non
nobilita di meno l’anima e la rende non meno simile al Verbo, e forse anche di
più. Questa è il libero arbitrio che è qualche cosa di divino che rifulge
nell’anima, come una gemma nell’oro. Da questo deriva all’anima la
conoscenza del giudizio, e la facoltà di scegliere tra il bene e il male, tra la vita e
la morte e altre simili cose che similmente riguardo all’atteggiamento
dell’animo sembrano opporsi tra loro. Tuttavia, in mezzo a loro quale arbitro
censore questo occhio dell’anima giudica e discerne, libero nella scelta come
libero nel discernere. Perciò è chiamato anche libero arbitrio perché si occupa di
queste cose secondo l’arbitrio della volontà. Di qui l’uomo diventa capace di
meritare: tutto ciò, infatti, che avrai fatto di bene o di male che sei stato libero di
non fare ti viene giustamente ascritto a merito. E come giustamente viene
lodato non soltanto colui che poteva fare il male e non lo fece, così non è privo
di cattivo merito sia chi fece il male che poteva non fare, sia chi poteva fare il
bene e non lo fece. Dove non c’è libertà non vi è neppure merito. Perciò gli
animali privi di ragione non hanno nessun merito, perché mancano sia di
deliberazione, sia di libertà: agiscono per istinto, sono portati dall’inclinazione,
guidati dall’appetito. Né, infatti, hanno giudizio secondo il quale giudicarsi e
regolarsi, ma neppure possiedono lo strumento del giudizio, cioè la ragione.
Perciò non sono sottoposti a giudizio, perché non giudicano. Per quale ragione
si esigerebbe da essi una ragione che non hanno ricevuto?
IV. 7. Solo l’uomo non subisce dalla natura questa costrizione, e perciò egli solo
tra gli animali è libero. E tuttavia, dopo il peccato subisce anch’egli una
violenza, ma dalla volontà non dalla natura, di modo che neanche così viene
privato dell’innata libertà. Ciò, infatti, che è volontario è libero. Col peccato
avviene che il corpo corruttibile appesantisca l’anima, con l’amore, non con il
peso-materiale. Poiché, per il fatto che l’anima di per sé non può rialzarsi,
mentre da sé è stata capace di cadere, entra in causa la volontà la quale, resa
languida per il corpo viziato e il vizioso amore resta prostrata e non ha
disposizione per amore della giustizia. Così non so in quale pessima e strana
maniera la volontà stessa, deteriorata dal peccato, si crea una necessità,
necessità che essendo volontaria non può scusare la volontà, né la volontà
essendo adescata può escludere una certa necessità. È, infatti, questa necessità