Page 176 - Sermone sul Cantico dei cantici (II)
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alberi, gli uni con i sensi, gli altri senza. Né agli uni né agli altri l’essere è lo
stesso che vivere perché, come è opinione di molti, essi sono esistiti nei loro
elementi prima che nelle loro membra o nei loro rami. Secondo questo quando
cessano di vivificare cessano di vivere, ma non di essere. Si sciolgono e si
dissolvono come un insieme di sostanze non soltanto legate, ma collegate.
Ognuno di esse (animali o piante), infatti, non è un’unica cosa semplice, ma il
risultato di più e perciò non viene ridotto al nulla, ma si scioglie in parti, di
modo che ognuno torna al suo principio, per esempio l’aria nell’aria, il fuoco al
fuoco, e così le altre cose. A una tale vita dunque non è la stessa cosa vivere ed
essere, poiché continua ad essere quando più non vive.
4. Pertanto, nessuna di queste cose per le quali l’essere non equivalga al vivere
potrà progredire e giungere un giorno alla vita buona e beata, non essendo
arrivata neppure a quel primo grado. Solo l’anima dell’uomo che sta in esso è
stata creata in tanta dignità, vita dalla vita, semplice dal semplice, immortale
dall’immortale, da non essere lontana dal più alto gradino, che cioè essere
equivale ad essere beato, nel quale sta il solo beato e il solo potente Re dei Re, e
Signore dei dominatori. Ha ricevuto, pertanto, l’anima nella sua condizione,
anche se non l’essere beata, il poter esserlo tuttavia; al sommo scalino si
avvicina, perciò, quanto è lecito, senza però raggiungerlo. Poiché, neanche per
essa l’essere equivarrà un giorno all’essere beata, anche quando sarà beata.
Confessiamo che è simile, ma neghiamo l’uguaglianza. Per esempio, vita è Dio,
vita è anche l’anima: simile sì, ma dispari. Simile in quanto vita, in quanto essa
stessa vivente, in quanto non solo vivente, ma vivificante, come egli è tutte
queste cose; dissimile, invece, in quanto creata dal creatore, dissimile perché
come non sarebbe se non creata da lui, così non vivrebbe se non fosse da lui
vivificata. Non vivrebbe dico, ma della vita spirituale, non naturale. Poiché
della vita naturale necessariamente vive immortale anche quell’anima che
spiritualmente non vive. Ma quale vita è mai quella nella quale sarebbe meglio
non nascere che non da essa morire? È piuttosto una morte, e tanto più grave
perché del peccato, non della natura. La morte dei peccatori è pessima (Sal 33,22).
Così, dunque, l’anima che vive secondo la carne è morta, pur essendo viva,
come quella a cui sarebbe stato bene non vivere piuttosto che vivere così. E da
questa per così dire morte vitale non risorgerà mai, se non per il Verbo della
vita, anzi per il Verbo-vita vivente e vivificante.
III. 5. Peraltro l’anima è immortale e in questo simile al Verbo, ma non uguale.
L’immortalità di Dio, infatti, è talmente superiore che l’Apostolo dice di Dio: che
solo ha l’immortalità (1 Tm 6,16). E questo io penso che sia detto perché è solo per
natura incommutabile Dio colui che dice: Io sono il Signore, non cambio (Mal 3,6).
Infatti, la vera e piena immortalità né subisce mutazione né ha fine perché ogni
mutazione è una certa imitazione della morte. Ogni cosa, infatti, che cambia,
mentre passa da uno a un altro essere, è in qualche modo necessario che muoia
ciò che è, per cominciare ad essere ciò che non è. E se vi sono tante morti quante
mutazioni, dov’è l’immortalità? E a questa caducità la stessa creatura è stata