Page 175 - Sermone sul Cantico dei cantici (II)
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ricordate, ha assegnato una cosa a una di esse, e l’altra all’altra, cioè il Verbo
essere l’immagine e l’anima essere fatta a immagine di Dio. Ma non solo si è
dimostrata la vicinanza quanto all’immagine, ma anche quanto alla
somiglianza, sennonché non è ancora stato detto chiaramente in che cosa o in
quali cose consista la stessa somiglianza. Dunque, cerchiamo di dare questa
spiegazione affinché quanto più pienamente l’anima conoscerà la sua origine,
tanto più si vergogni di condurre una vita degenere, anzi si sforzi di riformare
con la sua industria quello che scorgerà viziato dal peccato nella natura, perché
comportandosi come conviene alla sua parentela, con la grazia di Dio si accosti
con fiducia agli amplessi con il Verbo.
2. Rifletta, pertanto, che dalla sua somiglianza con la semplicissima natura
divina deriva in essa quella naturale semplicità della sua sostanza per cui per lei
essere equivale a vivere, anche se non equivale a vivere bene o beatamente,
perché rimanga somiglianza, non uguaglianza. È un gradino vicino, ma un
gradino. Non c’è, infatti, pari eccellenza o pari grandezza nel fatto che per
l’anima essere corrisponde a vivere, mentre per Dio essere è uguale a essere
beato. Quest’ultima cosa compete al Verbo per la sua sublimità, l’altra all’anima
per la somiglianza. Salva dunque l’eminenza del Verbo risulta chiaramente
l’affinità delle nature e la prerogativa dell’anima. E perché questo sia più chiaro:
solo per Dio essere equivale a essere beato: e questo è il primo e purissimo
semplice. Il secondo è simile a questo, cioè avere l’essere equivale a vivere: e
questo è dell’anima. Da questo, anche se di grado inferiore, si può salire non
solo al vivere bene, ma anche beatamente: non che allora essere sia uguale a
essere beato, per colui che sia pervenuto a quel punto da potersi gloriare per la
somiglianza, in modo tale però che tutte le sue ossa sempre debbano dire, a
causa della disparità: Signore, chi è simile a te? (Sal 34,10). Un buon gradino per
l’anima, tuttavia, per il quale e solo per il quale si sale alla vita beata.
II. 3. Vi sono degli esseri viventi di due generi: quelli che sentono e quelli che
non sentono. Quelli che sentono sono un poco più in su di quelli insensibili e
agli uni e agli altri si antepone la vita per cui si vive e si sente. Non staranno
parimenti sullo stesso gradino la vita e il vivente, e molto meno la vita e le cose
che sono senza vita. Vita è l’anima vivente ma non da altrove che da se stessa; e
per questo non tanto vivente quanto vita, per parlare propriamente di essa. Di
qui è che infusa nel corpo lo vivifica perché sia corpo dalla presenza della vita,
non vita ma vivente. Onde è chiaro che neanche per il corpo vivo vivere
equivale ad essere potendo essere e non vivere affatto. Molto meno le cose
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prive di vita possono assurgere a questo grado. Ma neppure tutto quello che si
dice o è vita potrà arrivare a questo punto. Vivono gli animali e vivono gli
4 Secondo la dottrina degli Scolastici l’anima dà al corpo non solo il vivere, ma l’essere corpo.
Uscita l’anima non resta che una «forma corporeitatis» per qualche tempo; ma non è più
propriamente corpo bensì cadavere che in breve si dissolve. San Bernardo non poteva conoscere
questa precisazione.