Page 170 - Sermone sul Cantico dei cantici (II)
P. 170
nell’ammirazione dei misteri trattati si lamentano che il nostro discorso sia stato
o per nulla, condito, o con pochissimo sale di applicazioni morali. E questo
contro l’abitudine. Ma non si può rivedere quello che è stato detto. Non vado
avanti se non riparo tutto. Su, dite se vi ricordate da quale passo della Sacra
Scrittura ha avuto inizio questa deficienza, perché io ricominci di là. Tocca a me
risarcire i danni, anzi al Signore, dal quale dipendiamo in tutto. Di dove,
dunque, devo ricominciare? Forse dal passo: Nel mio letto per notti ho cercato
l’amato dell’anima mia? Se non erro, è di qui. Solo di li in poi ho avuto a cuore di
porre in luce le segrete delizie di Cristo e della Chiesa, districando la caligine
spessa di queste allegorie. Dunque, torniamo indietro per indagare il senso
morale:. non deve, infatti, esservi gravoso ciò che è nel vostro interesse. Questo
avverrà veramente se le cose che abbiamo detto riguardo a Cristo e alla Chiesa
le applichiamo al Verbo e all’anima.
2. Ma mi dirà qualcuno: «Perché tu unisci queste due cose? Che relazione c’è tra
l’anima e il Verbo?». Molte sotto ogni aspetto. Dapprima perché vi è tanta
parentela tra le nature, sicché come il Verbo è immagine di Dio essa è creata a
immagine di lui. E poi perché la parentela è attestata dalla somiglianza.
L’anima, infatti, è stata fatta non solo a immagine ma anche a somiglianza di
Dio. Simile in che cosa? domandi. Senti prima riguardo all’immagine. Il Verbo è
verità, è sapienza, è giustizia: e questa è immagine. Di chi? Della giustizia, della
sapienza, della verità. È, infatti, questa Immagine giustizia della giustizia,
sapienza della sapienza, verità della verità, quasi luce da luce, Dio da Dio.
L’anima non è nessuna di queste cose perché non è immagine. È, tuttavia,
capace di esse e le desidera; e di qui forse essa è fatta a immagine. Eccelsa
creatura che presenta nella capacità un’impronta della maestà, e nel desiderio
una tendenza alla rettitudine. Leggiamo che Dio ha fatto l’uomo retto, che
equivale a grande: lo prova la capacità, come si è detto. È necessario, infatti, che
ciò che fu fatto a immagine, convenga con l’immagine, e non partecipi invano il
nome di immagine, come neanche la stessa immagine è cosi chiamata solo per
un vano e vuoto nome. Sappiamo di colui che è immagine che pur essendo Figlio
di Dio non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio (Fil 2, 6). Qui è
accennata la sua rettitudine anche nella forma di Dio, e la maestà
nell’uguaglianza affinché mentre si paragona la grandezza alla grandezza e la
rettitudine alla rettitudine, appaia che corrispondono tra di loro sia ciò che è
secondo l’immagine, sia l’immagine, come anche l’immagine corrisponde
nell’uno e nell’altro a colui di cui è immagine. Egli è colui del quale il santo re
Davide canta nei Salmi: Grande è il Signore onnipotente (Sal 146,5), e altrove: Retto
è il Signore nostro Dio, in lui non c’è ingiustizia (Sal 91,16). Da questo Dio retto e
grande deriva che la sua immagine è anch’essa retta e grande; deriva anche che
l’anima è anch’essa retta e grande perché fatta a sua immagine.
II. 3. Ma dico: Dunque l’immagine non ha nulla più dell’anima, che è fatta a
immagine, poiché anche a questa assegniamo la grandezza e la rettitudine?
L’immagine ha molto di più. Questa ha ricevuto a uguaglianza, mentre l’anima