Page 16 - Sermone sul Cantico dei cantici (II)
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viene a dire che lui è il fiore del campo, e i fiori non nascono dal talamo, ma nel
campo, ed essere suo dono e sua partecipazione tutto quello che splende ed
esala grato odore. Perché nessuno possa rimproverare la sposa dicendole: Che
cosa hai tu che non abbia ricevuto? E se lo hai ricevuto, perché ti vanti quasi non
l’avessi ricevuto? (1 Cor 4,7). Così il geloso amante e ugualmente benigno
educatore dimostra con bontà e degnazione alla sua diletta a chi debba
attribuire la bellezza e il soave profumo del letto di cui si gloriava. Io sono il fiore
del campo, dice; da me proviene quello di cui ti vanti. Molto salutarmente siamo
ammoniti da questo passo che non bisogna affatto gloriarsi o, se uno si gloria, si
glorii nel Signore. Questo secondo la lettera; e ora scrutiamo, con l’aiuto di colui
del quale parliamo, quale senso spirituale vi si nasconda.
2. E per prima cosa nota come un fiore possa trovarsi in tre posti: nel campo, nel
giardino o sul talamo. Così ti sarà più facile capire perché lo Sposo abbia scelto
di chiamarsi fiore del campo. Nel campo, come nel giardino, il fiore nasce, non
così sul talamo. Manda profumo e fa bella figura su di esso, ma non sta diritto
come sta nel campo o nel giardino, ma piuttosto giace, essendovi stato portato,
non nato. E per questo occorre curarlo spesso, e mettere sempre nuovi fiori,
perché non mantengono a lungo il profumo né la bellezza. E se, come ho detto
nel precedente sermone, per letto fiorito si intende la coscienza adorna di buone
opere, vedi chiaramente come, per mantenere la similitudine, non basta operare
il bene una volta o l’altra, ma occorre sempre aggiungere nuove opere buone,
affinché, seminando con abbondanza, tu abbia anche a mietere con
abbondanza. Diversamente il fiore dell’opera buona appassisce e marcisce, e in
breve tempo perde la bellezza e il vigore, se non venga seguito ripetutamente e
continuamente da nuovi atti di pietà. Questo riguardo al fiore sul talamo.
3. Non così nel giardino, e neppure similmente nel campo. Una volta prodotti,
infatti, i fiori provvedono da sé per mantenersi nella loro freschezza. Ma sono
ancora differenti tra di loro quelli del giardino e quelli del campo: nel giardino
c’è bisogno della mano e dell’arte: dell’uomo, il campo invece da se stesso
produce i fiori naturalmente, senza l’aiuto e la cura dell’uomo. Hai già
indovinato qual è quel campo non solcato da aratro, né scavato dalla zappa, né
ingrassato da concime, né seminato da mano di uomo, e pure abbellito da quel
nobile fiore sul quale sappiamo che ha riposato lo Spirito del Signore? Ecco,
dice, il profumo del figlio mio è come odore di un campo pieno di frutti benedetto dal
Signore (Gen 27,27). Quel fiore di campo non aveva ancora rivestito la sua
bellezza, e già esalava il suo profumo, quando lo presenti in spirito il santo
vecchio Patriarca, cadente nel corpo e impedito nella vista, ma dall’odorato
fino, quando pieno di gaudio, usci in quella esclamazione. Non volle pertanto lo
Sposo chiamarsi fiore del talamo, essendo egli sempre fresco, e neanche fiore di
giardino, perché non fosse creduto generato per operar di uomo. Giustamente
invece e in modo convenientissimo: «Io sono fiore del campo», dice, lui che
spuntò senza concorso di uomo, ed in seguito non fu guasto da alcuna
corruzione, affinché si adempisse quanto era stato predetto: Non lascerai che il