Page 146 - Sermone sul Cantico dei cantici (II)
P. 146
miei peccati occulti ho ammirato la profondità della sua sapienza, e da una
certa emendazione dei miei costumi ho sperimentato la sua bontà e
mansuetudine, e dalla riforma e rinnovamento spirituale della mia mente, cioè
del mio uomo interiore, ho percepito in qualche maniera la sua bellezza e il suo
decoro, e dall’intuito di tutte queste cose insieme mi ha preso lo spavento
davanti alla sua immensa grandezza.
7. Ma tutte queste cose, una volta che il Verbo se n’è andato, sono come una
pentola bollente alla quale viene sottratto il fuoco; quello che prima bolliva,
immediatamente si ferma come preso da un certo languore e torpore, e presto
ritorna immobile e freddo; questo è il segno che egli se n’è andato. Allora per
forza l’anima mia diventa triste fino a che ritorni di nuovo, e di nuovo si riscaldi
in me il mio cuore: e questo sarà indizio del suo ritorno. Avendo tale esperienza
del Verbo, quale meraviglia se io uso le parole della sposa nel richiamarlo
quando si assenta, dal momento che sono trasportato, se non da pari, almeno in
parte da simile desiderio? Mi sarà familiare fino a che vivrò, per richiamare il
Verbo, la parola del richiamo: Ritorna! E ogni volta che si allontanerà sempre
ripeterò questa parola, né cesserò di gridare quasi alle parole di lui che se ne va
con ardente desiderio del cuore, che ritorni, e mi restituisca la mia salutare
letizia, mi restituisca se stesso.
III. Lo dico a voi figli: in questo frattempo nessuna altra cosa piace, mentre non
è presente colui che solo piace. E prego anche che non venga vuoto, ma pieno di
grazia e verità, com’è suo costume di ieri e di sempre.Anche in questo sembra
adattarglisi bene la similitudine della capriola e del cerbiatto, avendo la verità
gli occhi della capriola, e la grazia l’ilarità del cerbiatto.
8. Entrambe le cose mi sono necessarie, la verità a cui non possa nascondermi, e
la grazia alla quale non lo voglia. Senza una delle due la visita non sarebbe
completa, poiché la sua severità sarebbe troppo gravosa senza l’ilarità, e questa
senza di quella potrebbe sembrare leggera. Amara è la verità senza il
condimento della grazia, come senza il freno della. verità la stessa devozione
non è ferma, non ha misura, spesso diventa insolente. A quanti non giovò l’aver
ricevuto la grazia, perché non ne ricevettero dalla verità un temperamento! Per
questa ragione si compiacquero in essa più che non occorresse, mentre non
ebbero timore degli sguardi della verità e si diedero piuttosto tutti alla
leggerezza e all’ilarità del cerbiatto. Onde avvenne che furono privati della
grazia nella quale avevano voluto privatamente esultare, e ad essi si sarebbe
potuto dire, anche se troppo tardi: Andate dunque, imparate che cosa voglia dire:
servite il Signore con timore e con tremore esultate (Mt 9,13; Sal 2,11). Aveva detto
un’anima santa nella sua esultanza: Nulla mi farà vacillare (Sal 29,7), quando
improvvisamente sentì che il Verbo aveva distolto da lei il suo volto, e si senti
non solo smossa, ma conturbata; e così nella tristezza imparò che le sarebbe
occorso, con il dono della devozione, anche il peso della verità. Dunque, non
solo nella grazia sta la pienezza della grazia, e neppure nella sola verità. Che