Page 139 - Sermone sul Cantico dei cantici (II)
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2. Ma io, come ho ricevuto dal Signore, scruterò per me nel profondo grembo
del sacro eloquio lo spirito e la vita, e questa è la porzione per me che credo in
Cristo. Perché non dovrò cavare dalla sterile e insipida lettera un nutrimento
dolce e salutare per lo spirito, come grano dalla paglia, dal nocciolo il gheriglio,
dall’osso il midollo? Non voglio aver nulla a che fare con questa lettera che al
gusto sa di carne, e mangiata dà la morte! Quello, invece, che in essa è nascosto
è dallo Spirito Santo. Ora lo Spirito parla dicendo cose misteriose (1 Cor 14,2),
secondo l’Apostolo; ma Israele riguardo al mistero svelato ritiene il velo del
mistero. E questo perché un velo è ancora posto sopra il suo cuore. Così la
lettera come suona, appartiene a lui; quello che significa è mio. E perciò ad esso
appartiene il ministero della morte nella lettera, e a me la vita nello spirito.
Infatti è lo Spirito che vivifica (Gv 6,64): dà, infatti, l’intelligenza. Non è forse vita
l’intelligenza? Dammi l’intelligenza e avrò vita (Sal 118,144) dice il Profeta al
Signore. L’intelletto non rimane al di fuori, non si ferma alla superficie, non
palpa come un cieco le cose esterne, ma scruta le cose profonde per strapparne e
cogliere in sé con somma avidità i tesori di verità, e poter dire poi con il Profeta:
Io gioisco per la tua promessa come uno che trova grande tesoro (Sal 118,162). Così
infatti il regno della verità patisce violenza e i violenti lo rapiscono (Mt 11,12). Invece,
quel fratello maggiore che torna dal campo è figura del popolo vecchio e
terreno, il quale edotto ad amare la fatica per l’eredità terrena con fronte stanca
geme ansioso sotto il pesante giogo della legge e porta il peso del giorno e del
calore, questi dico, perché non ha avuto l’intelligenza, se ne sta fuori anche
adesso, e neanche invitato dal Padre vuole entrare nella casa del convito,
privando se stesso della partecipazione alla sinfonia e alla danza e al vitello
grasso. Misero, che non vuole sperimentare quanto buona cosa sia e quanto
gioconda che i fratelli vivano insieme! Ciò sia detto per distinguere la parte
della Chiesa dalla parte della Sinagoga, per cui sia più manifesta la cecità di
questa dalla prudenza di quella, e la felicità dell’una risalti maggiormente dalla
misera stoltezza dell’altra.
II. 3. E ora scrutiamo le parole della sposa, e sforziamoci di esprimere i casti
affetti del santo amore in modo che nulla nel sacro testo apparisca senza una
ragione, nulla meno che decoroso e opportuno. E se verrà alla mente quell’ora
quando il Signore Gesù questi è infatti lo Sposo passava da questo mondo al
Padre, e nello stesso tempo che cosa provasse nel suo animo quella domestica
Chiesa, novella sposa, mentre si vedeva lasciata quasi vedova desolata, con
l’unica speranza degli Apostoli, i quali, avendo lasciato tutto avevano seguito
Gesù, ed erano rimasti perseveranti con lui nelle sue prove; se penseremo a
questo vedremo come a ragione e senza alcuna incongruenza si sia dimostrata
tanto triste della sua dipartita, quanto sollecita per il suo ritorno, specialmente
se si considerano i suoi sentimenti e lo stato in cui veniva lasciata. Pertanto, e
l’affetto e il bisogno erano per lei due ragioni per supplicare il diletto, dato che
non era possibile persuaderlo a non andarsene per salire dove era prima, che
per lo meno affrettasse il suo promesso ritorno. E questo che qui desidera e