Page 134 - Sermone sul Cantico dei cantici (II)
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allora non vi saranno virtù, o che non saranno gradite allo Sposo? È da stolto
pensare l’una o l’altra di queste due cose. Ma osserva come forse se ne compiace
in modo diverso perché è certo che ne prova gusto ma forse non come da cibo,
quanto come da bevanda. Veramente in questo tempo e in questo corpo
nessuna delle nostre virtù è talmente purificata, nessuna così soave e genuina
da poter servire da bevanda allo Sposo. Ma colui che vuole che tutti gli uomini
si salvino dissimula molte cose, e da quello che non può per il momento
deglutire come facile bevanda, cerca di estrarre qualche cosa di saporito, quasi
con una certa arte, e un certo lavoro di masticazione. Vi sarà un tempo in cui la
virtù sarà facile a deglutirsi, senza lavoro di denti, né fatica da parte di chi
mastica, o piuttosto non stancherà chi mastica, e recherà diletto a chi la beve
senza fatica, appunto come bevanda, come cibo solido. C’è, infatti, la promessa
del Vangelo: Non berrò più del frutto della vite, dice, fino a che beva quel vino nuovo
con voi nel regno del Padre mio (Mt 26,29). E del cibo non si fa menzione alcuna.
Anche nel Profeta si legge: Come un prode assopito dal vino (Sal 77,65); anche qui
non si trova nulla del cibo. La sposa, dunque, conscia di questo mistero, avendo
saputo e riferito che lo Sposo si pasce tra i gigli, ha posto un termine a questa
sua degnazione, anzi conobbe che era stabilito questo termine e lo ha riferito
dicendo: Fino a che aspiri il giorno e si inclinino le ombre. Sapeva, infatti, che gli si
doveva dare più da bere che da mangiare. Anche l’usanza sembra appoggiare
questo senso, in quanto dopo mangiato si è soliti bère. Dunque, colui che qui
mangia di là berrà, e la sua bevanda sarà tanto più dolce quanto più sicura, e
deglutirà anche quelle cose che adesso più con minuzia, e in qualche modo, con
più fatica, rende liquide masticando.
II. 4. Ma ora veniamo a considerare quel giorno e quelle ombre: quale sia quello,
e quali queste: perché si dica di quello che spira, e perché si dica che le ombre si
inclinano. È detto letteralmente: fino a che aspiri il giorno, al singolare. Solo in
questo passo, se non erro, si trova questa frase: il giorno spira. Si dice, infatti,
che spirano i venti, le brezze, non i tempi. Respira l’uomo, respirano gli altri
animali, ai quali questo ricambio di aria fa continuare la vita. E questo che è se
non vento? Spira anche lo Spirito Santo, e per questo si chiama Spirito. Per qual
ragione, dunque, si dice che il giorno spira, che non è né vento, né spirito, né
animale? Sebbene non è detto neppure che spira, ma che «aspira». Né meno
fuori dell’uso comune è detto: e si inclinino le ombre. Infatti, al nascere di questa
luce corporea e visibile le ombre non s’inclinano, ma spariscono. Bisogna,
dunque, cercare un senso fuori del corporale. E se troveremo un giorno
spirituale forse troveremo anche le ombre e la loro inclinazione, e si
comprenderà più facilmente come «aspiri» questo giorno. Chi pensa che sia
corporeo quel giorno di cui dice il profeta: è meglio un solo giorno nei tuoi atri che
mille altrove (Sal 83,11), non so proprio che cosa possa pensare che non sia
corporeo. C’è anche un giorno con senso cattivo, quel giorno che hanno
maledetto i Profeti. Ma non pensiamo che sia di questi visibili che Dio ha fatto.
Dunque, è spirituale.