Page 133 - Sermone sul Cantico dei cantici (II)
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pasce tra i gigli, sia che si dica, seguendo la lettera: che si pasce tra i gigli fino a che
aspiri il giorno e si inclinino le ombre, non c’è inconveniente alcuno per l’una o
l’altra versione. C’è una cosa, che quel fino a che unito alla prima parte include
anche la seconda; se lo metti in mezzo escludi la prima parte per forza.
Ammettiamo che lo Sposo cessi di pascersi tra i gigli quando spira la brezza del
giorno, cesserà similmente anche di essere rivolto alla sposa e lei a lui?
Certamente no. Per sempre persevereranno a tendere l’uno verso l’altra, e
viceversa, e più felicemente nell’eternità, dove questa tendenza sarà anche più
veemente, più veemente perché più libera. Abbia dunque questo fino a che quel
senso che ha presso il Vangelo di Matteo, dove si racconta che Giuseppe non
conobbe Maria fino a che partorì il suo figlio primogenito (Mt 1,25), infatti non è che
la conobbe dopo; ovvero come nel salmo: I nostri occhi al Signore nostro Dio finché
abbia pietà di noi (Sal 122,2) non vuol dire che cesseranno di essere rivolti a Dio
quando comincerà ad avere pietà; oppure ancora come quando il Signore disse
agli Apostoli: Ecco io sono con voi fino alla consumazione dei secoli (Mt 26,20), il che
non significa che dopo non sarà più con loro. Questo va bene se fino a che si
riferisce alle parole il mio diletto a me e io a lui. Se invece preferisci che si riferisca
a quelle altre che si pasce tra i gigli, sarà da prendere in altro senso. Resta più
difficile da dimostrare come il diletto cessi di pascersi quando spunterà il nuovo
giorno. Se questo, infatti, è il giorno della Risurrezione perché non dovrebbe
più pascersi quando vi sarà molto più grande abbondanza di gigli? Ciò per
quanto riguarda il senso da dare alla lettera.
2. Ora osserva con me che in tutto il regno dove lo Sposo sta e si delizia tra tanti
fulgidi gigli, non si dice però che si pasce, secondo quello che era solito fare
prima. Dove sono infatti ormai i peccatori che Cristo cerca di incorporarsi,
masticati e morsicati in certo qual modo dai denti di un’austera disciplina, cioè
con l’afflizione della carne e la contrizione del cuore? Ma ormai il Verbo Sposo
non ha più bisogno di cibo che gli venga procurato da alcuni fatti o opere di
obbedienza, là dove ogni attività è riposo, solo consistendo nella visione e
nell’affetto. Certo è suo cibo fare la volontà del Padre suo, ma qui, non lassù.
Perché, infatti, fare quella che è già fatta? Consta che allora sarà anche perfetta.
Tutti i santi, infatti, proveranno allora quale sia la volontà di Dio, buona, gradita e
perfetta (Rm 12,2). E certamente, dopo ciò che è perfetto non resta da fare nulla,
resta solo da godere, non da fare, da sperimentare, non da operare, da vivere in
essa, non da esercitarsi in essa. Non è, forse, quella stessa volontà che con
istantissima orazione, istruiti dal Signore, chiediamo che si faccia così in terra
come in cielo, dove ne gusteremo il frutto senza che l’azione ci procuri fatica?
Non vi sarà, dunque, per il Verbo Sposo il cibo delle opere, perché verrà meno
necessariamente ogni opera, dove in ogni modo più pieno da tutti si percepisce
la sapienza: poiché chi ha poca attività la percepisce (Eccli 38,25).
3. Ma vediamo adesso se quello che diciamo possa reggere anche secondo la
sentenza di alcuni che intendono per pascersi tra i gigli il compiacersi del
candore delle virtù; abbiamo, infatti, riferito anche questa. Diremo, forse, che