Page 132 - Sermone sul Cantico dei cantici (II)
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14. Temo che tra di noi vi siano alcuni dei quali lo Sposo non accetti le offerte,
perché non sanno di gigli. Infatti, se nel mio digiuno si trova la mia volontà, tale
digiuno non è adatto allo Sposo, né egli gusta il mio digiuno che sa non di
obbedienza, ma del vizio della volontà propria. Io penso la stessa cosa non solo
del digiuno, ma del silenzio, delle veglie, dell’orazione, della lettura, del lavoro
manuale, insomma di ogni osservanza del monaco dove si trova la volontà
propria e non l’obbedienza al maestro. Non penso affatto che tali osservanze,
pure buone in sé, siano da annoverarsi tra gigli, vale a dire tra le virtù. Ma chi fa
queste cose si sentirà dire dal Profeta: È forse questo l’ossequio che io cerco?
dice il Signore. E aggiungerà: Nel giorno dei tuoi beni si trova la tua volontà.
Grande male la volontà propria, la quale fa si che i tuoi beni non siano beni per
te. Bisogna, pertanto, che queste cose diventino gigli, perché colui che si pasce
tra i gigli non gusterà nulla che sia inquinato dalla propria volontà. La sapienza
arriva dappertutto per la sua mondezza, e nulla di inquinato si trova in essa.
Così, dunque, lo Sposo ama pascersi tra i gigli, cioè presso i cuori mondi e
nitidi. Ma fino a quando? Fino a che aspiri il giorno e si inclinino le ombre (Cant
2,17). È un luogo ombroso e fitto. Non entriamo in questa selva di profondo
mistero se non alla chiara luce del giorno. Ormai, infatti, il mio discorso si è
prolungato più del solito e il giorno è avanzato, e così contro voglia siamo
costretti ad allontanarci da questi gigli. Non sono vinto dalla prolissità del
discorso perché l’odore di questi fiori mi toglie ogni stanchezza. Pare che resti
poco di questo capitolo, ma questo poco è pieno di mistero, come del resto tutto
in questo cantico. Ma chi rivela i misteri sarà là, lo spero, quando cominceremo
a bussare, perché non chiuda la bocca di quelli che parlano di lui, essendo a lui
cosa familiare aprire le cose chiuse, lui che è Sposo della Chiesa, Gesù Cristo
nostro Signore, che è sopra tutte le cose Dio benedetto nei secoli. Amen.
SERMONE LXXII
I. Come si aggiunge a entrambi i capitoli delle parti: «Finché aspiri» e come allora lo Sposo non
si pasce, ma beve. II. Il giorno e le ombre spirituali, e come, spirando il giorno, si inclinano o
scompaiono. III. Il giorno spira o inspira, espira o cospira, respira, la notte sospira. IV. Come
coloro che respirano di giorno crescano nell’abbondanza, coloro che sospirano nella notte
maggiormente sono impoveriti.
I. 1. Il mio diletto a me e io a lui che si pasce tra i gigli fino a che aspiri il giorno e si
inclinino le ombre (Cant 2,1617). Abbiamo da parlare soltanto dell’ultima parte di
questo versetto, e, cominciando, non so a quale riallacciarla delle due parti
precedenti: posso farlo con l’una o con l’altra indifferentemente. Sia infatti che
si dica: Il mio diletto a me e io a lui fino a che aspiri il giorno, saltando solo che si