Page 107 - Sermone sul Cantico dei cantici (II)
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Cristo, che è sopra tutte le cose Dio benedetto nei secoli. Amen.



                                                   SERMONE LXVII


                  I. Con chi parla la sposa quando dice: «Il mio diletto a me ecc.» e come la parola dello sposo sia
                  paragonabile a un banchetto. II. La migliore interpretazione è che parli con se stessa e quale è il
                  motivo  di  un’espressione  cosi  ellittica.  III.  La  parola  della  sposa  è  quasi  un  rutto;  il  gusto  e
                  l’odorato; ciò che il giusto gusta il peccatore lo odora. IV. L’altra accezione dell’attesa con cui il
                  giusto attende, il peccatore no; il rutto di Davide o di Giovanni o di Paolo. V. Che cosa queste
                  parole  sottintendano;  il  fine  delle  parole  della  sposa  o  del  Profeta.  VI.  Grazia  preveniente  e
                  susseguente.


                  I. 1. Il mio diletto è a me e io a lui (Cant 2,16). Fino a ora erano parole dello Sposo.
                  Ci  stia  egli  vicino,  perché  possiamo  degnamente,  a  gloria  di  lui  e  a  salvezza
                  delle  nostre  anime,  investigare  le  parole  della  sua  sposa.  Sono  infatti tali  che
                  non possono da noi essere considerate e discusse come meritano, se egli non ci
                  guida  parlandoci  interiormente.  Sono  infatti  queste  parole  tanto  soavi  per  la
                  grazia quanto ricche di senso e di profondi misteri. A che cosa le assomiglierò?
                  Per  ora  a  una  qualche  vivanda  che  abbia  eminentemente  queste  tre  doti:
                  deliziosa al palato, che costituisce un solido nutrimento e un’efficace medicina.
                  Così,  dico,  così  ogni  singola  parola  della  sposa  eccita  l’affetto  per  la  sua
                  dolcezza, impingua e nutre la mente per la molteplicità dei sensi e la profondità
                  dei  misteri,  mentre  tanto  più  esercita  l’intelligenza,  tanto  più  incute  timore,
                  sanando in modo mirabile il timore della scienza che gonfia. Infatti, se uno di
                  quelli  che  si  credono  saputelli  si  applica  con  curiosità  a  scrutare queste  cose,
                  scorgendo come le forze del suo ingegno sono del tutto insufficienti, e sentendo
                  ridursi in cattività tutta l’intelligenza, non sarà forse costretto a dire: Stupenda
                  per me la tua saggezza, troppo alta e io non la comprendo (Sal 138,6)? Pertanto, fin
                  dalle prime parole quanta dolcezza dimostra! Ecco come comincia: Il mio diletto
                  è  a  me  e  io  a lui.  Sembra  una  semplice  voce,  perché  il  suo  suono  è  soave;  di
                  questo si vedrà in seguito.

                  2.  Ora  comincia  dalla  dilezione,  prosegue  circa  il  diletto,  giudicando  di  non
                  sapere  altro  se  non  il  diletto.  È  chiaro  di  che  cosa  parla;  non  è  ugualmente
                  evidente con chi. Non è, infatti, permesso sentire come quando era con lui, dato
                  che ora lui non è presente. Di questo non v’è dubbio, sembra infatti che ella lo
                  richiami,  e  quasi  gli  gridi  dietro:  Ritorna, diletto mio (Cant  2,17).  Siamo  perciò
                  indotti a pensare che, finite le sue parole, nuovamente, secondo il suo modo di
                  fare, si sia assentato, ed essa sia rimasta a parlare di lui che non è in effetti mai
                  lontano da lei. Così è: ritenne nella bocca colui che non si assentava dal cuore,
                  anche quando se ne andava. Quello che esce dalla bocca viene dal cuore, e la
                  bocca parla dall’abbondanza del cuore (Lc 6,45). Parla dunque del diletto, come vera
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