Page 14 - Regola di San Benedetto
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quello in cui il monaco per amore di Dio si sottomette al superiore in assoluta ob-
bedienza, a imitazione del Signore, del quale l’Apostolo dice: «Fatto obbediente fi-
no alla morte». Il quarto grado dell’umiltà è quello del monaco che, pur incon-
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trando difficoltà, contrarietà e persino offese non provocate nell’esercizio
dell’obbedienza, accetta in silenzio e volontariamente la sofferenza e sopporta
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tutto con pazienza, senza stancarsi né cedere secondo il monito della Scrittura:
«Chi avrà sopportato sino alla fine questi sarà salvato». E ancora: «Sia forte il tuo
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cuore e spera nel Signore». E per dimostrare come il servo fedele deve sostenere
per il Signore tutte le possibili contrarietà, esclama per bocca di quelli che patisco-
no: «Ogni giorno per te siamo messi a morte, siamo trattati come pecore da macel-
lo». Ma con la sicurezza che nasce dalla speranza della divina retribuzione, co-
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storo soggiungono lietamente: «E di tutte queste cose trionfiamo in pieno, grazie a
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colui che ci ha amato», mentre altrove la Scrittura dice: «Ci hai provato, Signore,
ci hai saggiato come si saggia l’argento col fuoco; ci hai fatto cadere nella rete, ci
hai caricato di tribolazioni». E per indicare che dobbiamo assoggettarci a un su-
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periore, prosegue esclamando: «Hai posto degli uomini sopra il nostro capo». 42.
Quei monaci, però, adempiono il precetto del Signore, esercitando la pazienza an-
che nelle avversità e nelle umiliazioni, e, percossi su una guancia, presentano
l’altra, cedono anche il mantello a chi strappa loro di dosso la tunica, quando sono
costretti a fare un miglio di cammino ne percorrono due, come l’Apostolo Paolo
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sopportano i falsi fratelli e ricambiano con parole le offese e le ingiurie. Il quinto
grado dell’umiltà consiste nel manifestare con un’umile confessione al proprio aba-
te tutti i cattivi pensieri che sorgono nell’animo o le colpe commesse in segreto,
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secondo l’esortazione della Scrittura, che dice: «Manifesta al Signore la tua via e
spera in lui». E anche: «Aprite l’animo vostro al Signore, perché è buono ed e-
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terna è la sua misericordia», mentre il profeta esclama: «Ti ho reso noto il mio
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peccato e non ho nascosto la mia colpa. Ho detto: «confesserò le mie iniquità di-
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nanzi al Signore» e tu hai perdonato la malizia del mio cuore». 49. Il sesto grado
dell’umiltà è quello in cui il monaco si contenta delle cose più misere e grossolane e
si considera un operaio incapace e indegno nei riguardi di tutto quello che gli im-
pone l’obbedienza, ripetendo a se stesso con il profeta: «Sono ridotto a nulla e
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nulla so; eccomi dinanzi a te come una bestia da soma, ma sono sempre con te».
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Il settimo grado dell’umiltà consiste non solo nel qualificarsi come il più miserabile
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di tutti, ma nell’esserne convinto dal profondo del cuore, umiliandosi e dicendo
con il profeta: «Ora io sono un verme e non un uomo, l’obbrobrio degli uomini e il
rifiuto della plebe»; «Mi sono esaltato e quindi umiliato e confuso» e ancora:
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«Buon per me che fui umiliato, perché imparassi la tua legge». L’ottavo grado
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dell’umiltà è quello in cui il monaco non fa nulla al di fuori di ciò a cui lo sprona la
regola comune del monastero e l’esempio dei superiori e degli anziani. Il nono
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grado dell’umiltà è proprio del monaco che sa dominare la lingua e, osservando
fedelmente il silenzio, tace finché non è interrogato, perché la Scrittura insegna
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che «nelle molte parole non manca il peccato» e che «l’uomo dalle molte chiac-
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