Page 30 - Racconti di un pellegrino russo
P. 30
leggere; non aveva un sillabario, così si serviva della Bibbia in questo modo: mi
mostrava le lettere e mi obbligava a compitare le parole e poi a distinguere le lettere.
Così, non so troppo bene nemmeno io come abbia fatto, a forza di ripetere con lui, finii
per saper leggere. Più tardi, quando no riusciva più a vederci chiaramente, mi faceva
leggere la Bibbia ad alta voce e mi correggeva. Il cancelliere veniva speso da noi. Egli
aveva un scrittura chiara e a me piaceva molto vederlo scrivere. Da solo cominciai
dunque a formare le parole, seguendo il suo esempio. Egli allora mi insegnò come fare,
mi diede un foglio, l’inchiostro e mi affilò una penna. Così ho imparato a scrivere. Il
nonno era contentissimo e mi diceva: – Così Dio ti ha dato di saper leggere e scrivere;
tu sarai un uomo. Ringrazia il Signore e pregalo più spesso. Andavamo in Chiesa per
tutte le funzioni, e anche a casa pregavamo spesso. Mi facevano recitare: Signore, abbi
pietà di me, e il nonno e la nonna facevano genuflessioni e inchini fino a terra, oppure
restavano in ginocchio. Quando compii i diciassette anni, morì la nonna. Il nonno mi
disse: – Eccoci qui in casa senza una donna, e come possiamo fare noi, uomini soli?
Tuo fratello è un buono a nulla. Voglio trovarti una moglie. Io cercai di spiegargli che
con la mia infermità non mi sentivo portato verso quella via, ma il nonno insistette e mi
diede in moglie una brava ragazza. Aveva vent’anni. Passò un anno e il nonno si
ammalò seriamente. Mi chiamò, mi disse le sue ultime parole di saluto e aggiunse:
– Ti lascio la casa e tutto quello che ho; vivi facendo il tuo dovere, non ingannare mai
alcuno, e prega Dio più di tutto; è da lui che ci viene ogni cosa. Non riporre la tua
speranza che in lui, va’ in chiesa, leggi la Bibbia e ricordati di noi nelle tue preghiere.
Tieni mille rubli d’argento, serbali, non spenderli per sciocchezze, ma non essere varo,
sii largo con i poveri e con le chiese di Dio.
Morì e lo sotterrai. Mio fratello era geloso della mia eredità, perché, ora la locanda era
mia; cercò di molestarmi in tutti i modi e il diavolo lo spinse fino al punto da decidere
di farmi fuori. Una notte, infatti, mentre dormivamo e non c’erano viaggiatori di
passaggio, egli entrò nella dispensa e vi appiccò il fuoco, dopo aver preso tutto il denaro
che era conservato in cassapanca. Ci svegliammo quando ormai la casa era in fiamme e
avemmo appena il tempo di saltare dalla finestra così come stavamo. Tenevamo la
Bibbia sotto il guanciale e la portammo con noi. Guardavamo la nostra casa bruciare e
si dicevamo: – Sia ringraziato Dio! Abbiamo salvato la Bibbia, potremo almeno
consolarci nella sventura. Così tutto il nostro patrimonio fu bruciato e mio fratello sparì
dal paese. Qualche anno dopo, egli si vantò dopo aver bevuto, e fu così che venimmo a
sapere chi aveva rubato e appiccato il fuoco alla casa. Rimanemmo completamente
spogli, senza nemmeno i vestiti, come i mendicanti; in qualche modo, tra prestiti e
buona voglia, mettemmo in piedi una capannetta e vivemmo come dei poveri diavoli.
Mia moglie era imbattibile nel filare, tessere e cucire. Prendeva commissione dai vicini
e lavorava giorno e notte, per darmi da mangiare. Per via del mio braccio, io non ero in
grado nemmeno di intrecciare delle scarpe di corteccia. Il più delle volte, essa filava o
tesseva e io, seduto al suo fianco, leggevo la Bibbia; lei stava ad ascoltare e talvolta si
metteva a piangere. Quando io le chiedevo: – »Perché piangi?» Grazie a Dio ce la
caviamo lo stesso –, essa rispondeva: – «Sono commossa perché nella Bibbia è scritto
così bene» –. Ci ricordavamo anche delle raccomandazioni del nonno; digiunavamo
spesso, leggevamo ogni mattino l’inno Acatisto e la sera facevamo ognuno un migliaio
di inchini davanti alle icone per non cadere in tentazione. Vivemmo così
tranquillamente per un paio di anni. Ma state a sentire il più strano: non sapevamo nulla