Page 26 - Racconti di un pellegrino russo
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ma riuscii almeno ad ascoltare le preghiere e la messa, durante la quale il Signore mi
                  permise  di  ricevere  la  comunione.  Per  passare  quel  giorno  in  pace,  senza  che  nulla
                  venisse a turbare la gioia dello spirito, chiesi a un custode di lasciarmi fino all’indomani
                  nella celletta di guardia. Passai tutta quella notte in una gioia indicibile e nella pace del
                  cuore; ero steso su una panca in quella capannetta non riscaldata, come se riposassi sul
                  seno d’Abramo: la preghiera agiva con forza. L’amore per Gesù Cristo e per la Madre
                  di  Dio  attraversava  il  mio  cuore  con  onde  benefiche  e  immergeva  l’anima  mia  in
                  un’estasi  consolatrice.  Stava  scendendo  la  notte,  quando  avvertii  nelle  gambe  un
                  improvviso dolore, acutissimo, e mi ricordai allora che erano bagnate. Ma ricacciando il
                  pensiero, mi immersi di nuovo nella preghiera e non avvertii più alcun dolore. Quando
                  al mattino mi volli alzare, non riuscivo più a muovere le mie povere gambe. Erano inerti
                  e molli come uno stoppino; il guardiano mi tirò giù dalla panca e rimasi così due giorni
                  senza muovere un dito. Il terzo giorno il guardiano mi cacciò via dalla baracca dicendo:
                  –  Se  morrai  qui,  bisognerà  poi  correre  in  giro  e  darsi  da  fare  per  te  –.  Riuscii  a
                  trascinarmi sulle mani fino alla scalinata della chiesa e vi rimasi disteso. Trascorsi così
                  due giorni circa; le persone che passavano non prestavano alcuna attenzione né a me né
                  alle mie domande. Finalmente un contadino mi si avvicinò e si mise a chiacchierare.
                  Dopo un po’, mi disse: – Cosa mi dai? Ti voglio guarire. Anch’io ho avuto questo stesso
                  male e conosco un buon rimedio. – Non ho nulla da darti – gli risposi. – Cosa hai nel
                  tuo sacco? – Null’altro che del pane raffermo e dei libri. – Bene, tu lavorerai da me per
                  un’estate se ti guarisco.

                  – Non posso nemmeno lavorare, vedi che ho un braccio che non serve.

                  – Cosa sai fare, insomma? – Niente, salvo leggere e scrivere. – Scrivere? Benissimo.
                  Insegnerai a scrivere a mio figlio, che sa già leggere un pochino e voglio che impari
                  anche  a  scrivere.  Ma  i  maestri  chiedono  troppo,  venti  rubli  per  insegnare  tutto
                  l’alfabeto. Mi misi d’accordo con lui e, con l’aiuto del custode, fui trasportato in casa
                  del  contadino,  dove  venni  sistemato  in  un  vecchio  bagno  in  fondo  al  suo  podere.
                  Cominciò allora a curarmi. Raccolse dai campi, dai cortili e dagli immondezzai delle
                  vecchie  ossa  di  animali,  di  uccelli  e  di  che  altro  ancora:  li  lavò,  li  frantumò  in
                  piccolissimi pezzi con un sasso e li mise in una grossa pentola; la incappucciò con un
                  coperchio forato e rovesciò il tutto dentro un vaso che aveva interrato. Spalmò con gran
                  cura il fondo della pentola con uno spesso strato di creta e la coprì di ceppi che lasciò
                  bruciare per più di ventiquattro ore. Mentre disponeva i ceppi, diceva: – Tutto questo
                  farà  un  bel  pastone  di  ossa.  Il  giorno  dopo  dissotterrò  il  vaso  nel  quale,  attraverso
                  l’orificio del coperchio, era colato quasi un litro di un liquido spesso, rossastro, oleoso e
                  dall’odore  di  carne  fresca;  le  ossa  rimaste  nella  pentola,  da  nere  e  marce,  erano
                  diventate di un colore bianco e trasparente quanto la madreperla. Per cinque volte al
                  giorno io mi dovevo frizionare le gambe con quel liquido. Lo credereste? Il giorno dopo
                  mi accorsi che potevo muovere le dita; il terzo potevo piegare le gambe; il quinto mi
                  reggevo  in  piedi  e  camminavo  per  il  cortile  appoggiandomi  a  un  bastone.  In  una
                  settimana le gambe erano tornate normali. Ne ringraziai Dio e dicevo tra me: la sapienza
                  di Dio si manifesta nelle sue creature. Delle ossa spolpate e marce, già quasi ritornate
                  alla terra, conservano in sé la forza vitale, un colore e un odore; esercitano un’azione sui
                  corpi vivi, ai quali possono ridare la vita! È un pegno della risurrezione futura. Se avessi
                  potuto  far  sapere  questo  portento  al  guardaboschi  con  il  quale  avevo  vissuto  e  che
                  dubitava della risurrezione e dei corpi! Così guarito, cominciai a occuparmi del ragazzo.
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