Page 16 - Racconti di un pellegrino russo
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di Dio per l’uomo; tutto pregava, tutto cantava gloria al Signore. Capivo così quel che la
                  Filocalia  chiama  «la  conoscenza  del  linguaggio  della  creazione»  e  vedevo  com’è
                  possibile conversare con le creature di Dio.

                   Feci così una lunghissima macia. Alla fine giunsi in una zona così desolata che per tre
                  giorni  non  riuscii  a  incontrare  un  villaggio.  Avevo  finito  il  pane  e  mi  chiedevo  con
                  inquietudine come non morire di fame. Ma appena cominciai a pregare nel mio cuore,
                  ogni  preoccupazione  sparì  e  mi  affidai  alla  volontà  di  Dio;  divenni  così  lieto  e
                  tranquillo.  Avevo  percorso  un  breve  tratto  della  via  che  attraversava  un’immensa
                  foresta, quando scorsi davanti a me un cane da guardia che sbucava da una macchia; lo
                  chiamai e quello venne, tutto festoso, a farsi carezzare. Mi rallegrai e dissi tra me: è
                  proprio un segno della bontà di Dio! Vi è certo un gregge in questa foresta, ed è il cane
                  del pastore, o forse un cacciatore sta inseguendo per questa via la sua preda; in ogni
                  modo, poteri chiedere un po’ di pane, perché sono già due giorni che non mangio, o
                  informarmi se non sia un villaggio poco lontano. Il cane, dopo aver gironzolato intorno
                  a me, vedendo che non c’era nulla da mangiare, scappò nel folto per lo stesso viottolo
                  dal quale era sbucato sulla via. Lo seguii; dopo un duecento metri, scorsi tra gli alberi il
                  cane che da una tana sporgeva solo il muso e abbaiava. Vidi avvicinarsi tra gli alberi un
                  contadino magro e pallido, di mezza età. Mi chiese come fossi arrivato fin là. Io a mia
                  volta gli domandai che cosa facesse lui in un luogo così desolato; e scambiammo così
                  qualche  frase  amichevole.  Il  contadino  mi  pregò  di  entrare  nella  sua  capanna  e  mi
                  spiegò che era guardiaboschi e sorvegliava la foresta che doveva essere tutta tagliata.
                  Mi offrì pane e sale, e la conversazione si fece serrata. – Io invidio la vita solitaria che
                  conduci – gli dissi –, non è come la mia, sempre errante e a contatto con tutti. – Se vuoi
                  – mi disse – puoi vivere benissimo qui; c’è poco lontano una vecchia capanna che era
                  servita  alla  guardia  forestale  di  prima.  È  un  po’  malconcia,  ma  per  l’estate  uno  può
                  arrangiarsi alla meglio. Hai un passaporto. C’è pane abbastanza per due; me ne portano
                  ogni settimana dal nostro villaggio, e il ruscello qui accanto non manca mai d’acqua.
                  Quanto a me, fratello, sono dieci anni che non mangio altro che pane e non bevo altro
                  che  acqua.  Solo  in  autunno,  quando  i  lavori  dei  campi  saranno  finiti,  verranno  qui
                  duecento uomini per il taglio della foresta; io non avrò più nulla da fare qui, e non sarà
                  nemmeno a te di rimanere. A queste parole mi invase una gioia così  grande che per
                  poco non mi gettai ai suoi piedi. Non sapevo come ringraziare Dio della sua bontà verso
                  di  me. Tutto quello che desideravo e  per cui  mi  affannavo l’avevo improvvisamente
                  raggiunto.  Prima  della  metà  dell’autunno  c’erano  ancora  due  mesi,  e  durante  quel
                  periodo  potevo  approfittare  del  silenzio  e  della  pace  per  studiare  con  l’aiuto  della
                  Filocalia la preghiera perpetua nell’intimo del cuore. Così decisi di accomodarmi alla
                  meglio nella capanna. Continuammo a parlare, e quell’uomo semplice mi raccontò la
                  sua vita e le sue idee.  –  Nel  mio villaggio  –  disse  – non ero mica l’ultimo  arrivato;
                  avevo  un  mestiere,  tingevo  i  tessuti  in  rosso  e blù;  vivevo  benino,  ma da  peccatore:
                  ingannavo  volentieri  i  miei  clienti  e  bestemmiavo  a  ogni  occasione;  ero  volgare,
                  ubriacone e attaccabrighe. In quel villaggio c’era un cantastorie che possedeva un libro
                  vecchio  sul  Giudizio  finale  e  spesso  egli  andava  per  le  case  dei  fedeli  ortodossi  a
                  leggerne dei passi, e gli si dava un po’ di denaro. Veniva anche da me. Di solito gli si
                  dava cinque soldi e quello rimaneva a leggere fino al canto del gallo. Una volta che, pur
                  prestando  orecchio  alla  lettura,  io  stavo  lavorando,  egli  lesse  un  passo  sui  tormenti
                  dell’inferno e sulla risurrezione dei morti, come Dio verrà a giudicare, come gli Angeli
                  faranno  squillare  le  trombe,  e  il  fuoco  e  la  pece  che  vi  saranno,  e  i  vermi  che
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