Page 25 - Metodo breve per fare Orazione
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che tutto finisca non appena egli appare. Dio, per persuaderci ad abbandonarci a Lui
                  senza riserbo, ci assicura, sempre tramite Isaia, che non dobbiamo temere niente quando
                  ci abbandoniamo, perché Dio ci riserva cure particolari. «Può forse una madre dimenti-
                  care il suo pargoletto, non aver compassione del frutto del suo seno? Ma anche se essa
                  lo dimenticasse, io non potrò dimenticarti» (Is 49,15). Oh! Parole piene di consolazione!
                  Detto ciò, chi potrà temere di abbandonarsi alla condotta di Dio?


                                                          XXII

                                                        L’ATTO


                  1. L’atto è un’azione che può essere buona, inutile o criminale. Si distinguono degli atti
                  esteriori e degli atti interiori. Gli atti esteriori sono quelli che appaiono esteriormente,
                  nei confronti di qualche oggetto sensibile, e sono buoni o cattivi, moralmente parlando,
                  solo rispetto al principio interno da cui partono. Non è di questi che voglio parlare, ma
                  dell’atto interiore. L’atto interiore è un’azione dell’anima che rivolge quest’ultima verso
                  un oggetto dal quale essa è distolta.

                  2. Se sono rivolto verso Dio e voglio compiere un atto, mi distolgo da Dio e mi rivolgo
                  più o meno verso le cose create, a seconda che il mio atto sia più o meno intenso. Se so-
                  no rivolto verso la creatura, bisogna che io compia un atto per distogliermi da questa
                  creatura  e  rivolgermi  di  nuovo  verso  Dio.  Più  l’atto  è  perfetto,  più  la  conversione  è
                  completa.
                  Fino a che non sono perfettamente convertito, ho bisogno di atti per rivolgermi verso
                  Dio. Alcuni lo fanno immediatamente, altri poco alla volta. Il mio atto deve quindi por-
                  tarmi a rivolgermi verso Dio, usando tutta la forza della mia anima per Lui secondo il
                  consiglio dell’Ecclesiastico: «Riunite tutti i movimenti del vostro cuore nella santità di
                  Dio» (Eccli 32,23). E come invocava Davide: «Conserverò tutta la mia forza per voi»
                  (Sal 59,10), cosa che si fa rientrando con forza in se stessi, come dice la Scrittura: «Tor-
                  nate al vostro cuore» (Is 46,8).

                  Infatti noi veniamo allontanati dal nostro cuore dal peccato. Bisogna quindi tornare al
                  cuore. Anche Dio non chiede altro che il nostro cuore: «Figlio mio, dammi il tuo cuore
                  é tieni i tuoi occhi fissi alle mie vie» (Pr 23,26). Dare il proprio cuore a Dio è avere
                  sempre la vista, la forza e il vigore dell’anima puntata su di Lui per seguire le sue vo-
                  lontà: ecco a che cosa serve l’atto. L’atto ci fa rivolgere a Dio. Bisogna restare rivolti a
                  Lui appena lo si è. E compiendo degli atti me ne distoglierei.
                  Ma  poiché  lo  spirito  dell’uomo  è  leggero  e  l’anima,  abituata  a  essere  rivolta  verso
                  l’esterno, si disperde facilmente e si svia, bisogna che tramite un atto semplice, che non
                  è altro che un ritorno verso Dio, non appena si accorge che si è distolta nelle cose este-
                  riori, si rivolga verso di Lui. In seguito il suo atto sussiste per tutto il tempo che dura la
                  conversione, a forza di rivolgersi verso Dio con un ritorno semplice e sincero.

                  3.  Come,  dopo  aver  ripetuto  più  volte  gli  atti,  questi  diventano  un’abitudine,  così
                  l’anima  si  abitua  alla  conversione.  Con  la  ripetizione  l’atto  diventa  abituale  ma  non
                  formale. L’anima non deve sforzarsi di formare questo atto perché sussista. E non può
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