Page 43 - La vera religione
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chiamerà cupidigia e libidine e noi non saremo altro che temerità e stoltezza.
                  Seguiamo Cristo, nostro capo, affinché anch’essa venga dietro a noi, che le
                  siamo guida . Quanto detto si può prescrivere anche alle donne, non per
                  diritto coniugale, ma per diritto di fraternità, in base al quale in Cristo non
                  siamo né maschio né femmina . Anch’esse, infatti, hanno qualcosa di virile
                  per  sottomettere  i  piaceri  da  femmina,  per servire  Cristo e  dominare  la
                  cupidigia. Nell’economia del popolo cristiano, del resto, ciò avviene già non
                  solo in molte vedove e vergini consacrate a Dio, ma anche in molte donne
                  sposate che adempiono ai doveri coniugali con fraterna disponibilità. Poiché,
                  se di quella parte sulla quale Dio ci prescrive di avere il dominio, esortandoci
                  e aiutandoci a tornare in possesso di noi stessi, per negligenza ed empietà
                  l’uomo, cioè la mente e la ragione, diventerà suddito, egli sarà certamente un
                  uomo turpe e infelice. Ma in questa vita egli ha un destino e, dopo questa
                  vita,  un  posto  là  dove  il  supremo  Reggitore  e  Signore  ritiene  giusto
                  destinarlo e collocarlo. Perciò, nessuna deformità può macchiare il creato nel
                  suo insieme.

                  La concupiscenza stessa della carne sollecita l’uomo a cercare l’armonia invisibile.
                  42.  79.  Camminiamo  dunque,  mentre  è  per  noi  giorno  ,  cioè  fino  a  che
                  possiamo servirci della ragione, in modo che, rivolti a Dio, ci rendiamo degni
                  di essere illuminati dal suo Verbo, che è la vera luce, e di non essere mai
                  avvolti dalle tenebre . Il giorno infatti è per noi la presenza di quella luce che
                  illumina ogni uomo che viene in questo mondo . Uomo è detto perché può valersi
                  della ragione e, dove è caduto, lì può appoggiarsi per rialzarsi. Se dunque si
                  ama il piacere della carne, a tale piacere si presti maggiore attenzione e,
                  quando si siano riconosciute in esso le tracce di alcune armonie, si ricerchi
                  dove si trovino nella loro forma originaria, perché lì è maggiore il grado di
                  unità del loro essere. E se tali tracce sono presenti nello stesso impulso vitale
                  che agisce nei semi, è lì che vanno ammirate più che nel corpo. Qualora,
                  infatti, i ritmi vitali dei semi avessero un’espansione simile a quella dei semi
                  stessi, da mezzo granello di fico nascerebbe mezzo albero di fico e da semi
                  animali non integri nascerebbero animali non integri e completi e un solo e
                  piccolissimo seme non avrebbe l’illimitata forza riproduttiva propria della
                  sua  specie.  Da  un  solo  seme  invece,  secondo  la  sua  natura,  si  possono
                  propagare, attraverso secoli, messi di messi, selve di selve, greggi di greggi,
                  popoli di popoli, senza che vi sia, in una così ordinata successione, una foglia
                  o un pelo la cui ragion d’essere non sia stata in quel primo ed unico seme. Si
                  considerino poi le ordinate e soavi bellezze di suoni che l’aria trasmette
                  quando vibra al canto dell’usignolo: di certo l’anima di quell’uccellino non
                  potrebbe  crearle  spontaneamente  a  suo  piacimento,  se  non  le  portasse
                  impresse, in un modo non materiale, nel suo impulso vitale. Quanto detto si
                  può riscontrare anche negli altri animali i quali, seppur privi di ragione,
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