Page 15 - La vera religione
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La caduta dell’angelo malvagio.
                  13. 26. Contro coloro che sono stati santificati neppure l’angelo malvagio, che
                  è chiamato diavolo , potrà alcunché; anche lui, del resto, non è malvagio in
                  quanto angelo, ma in quanto si è pervertito per propria volontà. Se infatti
                  solo  Dio  è  immutabile,  bisogna  ammettere  che  anche  gli  angeli  sono
                  mutevoli per natura; tuttavia per quella volontà, per la quale amano più Dio
                  che  se  stessi,  restano  fissi  e  stabili  in  Lui  e  godono  della  sua  maestà,
                  sottomessi a Lui soltanto in modo completamente libero. L’angelo malvagio
                  invece, amando più se stesso che Dio, non volle essergli sottomesso e, gonfio
                  di  superbia,  si  allontanò  dalla  somma  essenza  e  cadde.  In  tal  modo  è
                  inferiore rispetto a quello che fu, perché volle godere di ciò che era inferiore
                  quando volle godere della propria potenza piuttosto che di quella di Dio.
                  Infatti, anche se il suo essere non era al sommo grado, perché solo Dio è in
                  sommo grado, tuttavia era maggiore quando godeva di colui che è in sommo
                  grado. Ora, tutto ciò che è inferiore rispetto a quello che era è male, tuttavia
                  non in quanto è ma in quanto è inferiore, e appunto per questo, cioè in
                  quanto è inferiore di quello che era, tende alla morte. Che c’è dunque da
                  meravigliarsi  se  dall’allontanamento  proviene  la  privazione  e  dalla
                  privazione l’invidia, per la quale il diavolo è proprio il diavolo?

                  Il peccato dipende dalla libera volontà dell’uomo.
                  14.  27.  Se  questo  allontanamento,  che  si  dice  peccato,  si  impadronisse
                  dell’uomo  contro  la  sua  volontà,  come  la  febbre,  di  certo  apparirebbe
                  ingiusta  la  pena  che  ne  scaturisce  per  il  peccatore  e  che  si  chiama
                  dannazione. Il peccato però è a tal punto un male volontario che non sarebbe
                  assolutamente un peccato se non fosse volontario. E la cosa è così evidente
                  che trova il consenso sia dei pochi dotti sia della folla degli incolti. Pertanto è
                  giocoforza negare che si commette peccato oppure bisogna ammettere che lo
                  si commette con la volontà. D’altro canto, non c’è possibilità di negare che
                  l’anima  abbia  peccato  quando  si  riconosca  che  essa  si  emenda  con  il
                  pentimento, che è perdonata se si pente, e che è giustamente condannata
                  secondo la legge di Dio se persevera nel peccare. Insomma, se non facciamo
                  il male volontariamente, non dobbiamo essere né rimproverati né ammoniti;
                  ma, se si prescinde da tutto questo, non ha più ragione di esistere la legge
                  cristiana e ogni disciplina di religione. Dunque, è con la volontà che si pecca.
                  E, poiché non c’è dubbio che si pecca, non vedo nemmeno come si possa
                  dubitare che le anime possiedono il libero arbitrio della loro volontà. Dio
                  infatti ha giudicato migliori fra i suoi sudditi quelli che lo hanno servito
                  liberamente, il che non sarebbe potuto in nessun modo avvenire se essi lo
                  avessero servito non per volontà, ma per necessità.
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