Page 66 - La nube della non conoscenza
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uomo può conoscere. Ti dico, in verità, che preferirei essere in questo «nessun
posto» fisicamente, a lottare con questo cieco «niente», piuttosto che essere un
signore così potente da poter essere fisicamente dappertutto, se solo lo volessi,
intento a godere allegramente di tutto come fa un padrone con le proprie cose.
Lascia perdere questo «dappertutto» e questo «tutto», in cambio di questo
«nessun posto» e di questo «niente». Che importa se le tue facoltà intellettuali
non riescono a scandagliare questo «niente»? Io lo amo ancor di più! È una cosa
così eccelsa in se stessa, che non la si può comprendere in alcun modo. Questo
«niente» è più facile sentirlo per esperienza che vederlo, perché è
completamente cieco e oscuro agli occhi di coloro che solo da poco si son messi
a guardarlo.
Ma a voler parlare più correttamente, l’anima che ne fa esperienza è accecata
dalla sovrabbondanza di luce spirituale, piuttosto che dall’oscurità o
dall’assenza di luce fisica. Chi è che allora lo chiama «niente»? Il nostro uomo
esteriore, di certo, e non quello interiore. Il nostro uomo interiore lo chiama
«tutto», perché per mezzo suo impara a conoscere la ragione di tutte le realtà,
materiali e spirituali, senza considerare in particolare ogni singola cosa in se
stessa.
CAPITOLO 69
La sensibilità dell’uomo cambia meravigliosamente nell’esperienza spirituale di
questo «niente» prodotto «in nessun posto».
Quando un uomo fa l’esperienza spirituale di questo «niente» in «nessun
posto», la sua sensibilità subisce delle mutazioni sorprendenti. Non appena
comincia a posarvi lo sguardo, egli trova che tutti i peccati personali che ha
commesso nel corpo e nello spirito fin dalla nascita, vi sono segretamente
dipinti sopra a tinte fosche. E per quanto cerchi di distogliere la propria
attenzione, i suoi peccati gli appaiono sempre dinanzi agli occhi, finché, dopo
molto lavoro estenuante, molti sospiri dolorosi e molte lacrime amare, non li
abbia in gran parte cancellati.
In un simile travaglio interiore talvolta gli sembra di star a osservare l’inferno,
perché ormai dispera di pervenire, attraverso questa sofferenza, alla perfezione
del riposo spirituale. Molti sono quelli che giungono fino a questo punto nel
loro cammino spirituale, ma poi, siccome sentono che la loro sofferenza è
troppo grande e che non ricevono alcun conforto, tornano indietro a
considerare le cose materiali. E cercano delle consolazioni mondane ed esteriori
per compensare quelle spirituali che a quel punto non hanno ancora meritato,
ma che avrebbero senz’altro ottenuto se avessero perseverato.
Chi invece persevera, prova di tanto in tanto un certo qual conforto e ha una
certa qual speranza, di perfezione, perché comincia a sentire e a vedere che, con
l’aiuto della grazia, molti dei suoi peccati personali commessi in passato
vengono in gran parte cancellati. Nonostante tutto, si sente ancora immerso
nella sofferenza, ma ora pensa che un bel giorno questa svanirà, perché va
diminuendo sempre più. Pertanto, quel «niente» non lo chiama più inferno, ma