Page 9 - La Regola Pastorale
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7 — Si dà spesso il caso che alcuni aspirino lodevolmente all’ufficio della
predicazione, e altri lodevolmente vi si lascino attirare costretti
Sebbene non di rado ci sia chi lodevolmente aspira all’ufficio della predicazione, c’è
anche chi lodevolmente vi si lascia attirare se è costretto. Possiamo renderci conto
facilmente di ciò se pensiamo all’opposto atteggiamento di due profeti: uno si offrì
spontaneamente per essere mandato a predicare, l’altro pieno di timore si rifiutò. Isaia
infatti si offri di propria iniziativa al Signore che chiedeva chi mandare, dicendo:
Eccomi, manda me (Is. 6, 8). Geremia invece è mandato e tuttavia resiste umilmente per
non esserlo, dicendo: Ah, ah, ah, Signore Dio, ecco non so parlare perché sono un
ragazzo (Ger. 1, 6). Ecco, usci fuori una parola diversa dall’uno e dall’altro, ma essa
non sgorgò da una diversa sorgente d’amore, giacché due sono i precetti della carità,
cioè l’amore di Dio e l’amore del prossimo. Isaia bramando di giovare al prossimo con
la vita attiva aspira all’ufficio della predicazione; mentre Geremia desiderando di
aderire sinceramente all’amore del Creatore attraverso la contemplazione oppone che
egli non deve essere mandato a predicare. Pertanto l’uno aspirò lodevolmente a ciò di
cui l’altro lodevolmente ebbe terrore: questo non voleva guastare, parlando, i frutti di
una tacita contemplazione, quello non volle sentire, tacendo, i danni di un’attività
nutrita solo di desiderio. Tuttavia bisogna penetrare sottilmente l’animo di ambedue e
capire che chi rifiutò non resistette fino all’ultimo; e colui che volle essere mandato,
prima si vide purificato dal carbone acceso dell’altare (cf. Is. 6, 6-7) a significare che
nessuno osi accostarsi ai ministeri sacri senza essere stato purificato, o anche che colui
che la grazia celeste ha scelto non contraddica superbamente sotto il pretesto
dell’umiltà. Dunque, poiché è molto difficile che una persona qualsiasi possa
riconoscere di essere stata purificata, è più che sicuro declinare l’ufficio della
predicazione; tuttavia, come s’è detto, non bisogna insistere con ostinazione nel
rifiutarlo quando si riconosce che è volontà celeste l’assumerlo. Si tratta di due
disposizioni dell’animo a cui Mosè aderì mirabilmente poiché, dovendo essere guida di
una moltitudine tanto grande, non volle ma obbedì (cf. Es. 3, 10 – 4, 18). Forse sarebbe
stato superbo se avesse assunto la guida di una popolazione numerosissima senza
trepidazione, e sarebbe ancora risultato superbo se avesse rifiutato di obbedire all’ordine
del Creatore. Così, in ambedue i casi, egli fu insieme umile e soggetto, poiché
misurando se stesso non volle essere capo del popolo e tuttavia acconsenti fidando sulle
forze di colui che glielo ordinava. Da questo esempio si rendano conto certe persone
irriflessive, di quanto è grande la loro colpa, se per il proprio desiderio non temono di
essere preposti ad altri, quando — pur dietro l’ordine di Dio — uomini santi temettero
di assumere la guida del popolo. Mosè trepida dietro l’invito del Signore, e un inetto
qualunque anela ad un ufficio d’onore. Così, chi è spinto a cadere con forza sotto i
propri pesi offre volentieri le sue spalle per caricarsi di quelli altrui: non ha la forza di
sopportare il peso di cui è già carico e aumenta quel che porta.
8 — Alcuni bramano il potere e si appropriano di una affermazione dell’Apostolo ai
fini della propria concupiscenza
Per lo più coloro che bramano il potere si appropriano della parola con cui l’Apostolo
dice: Se qualcuno desidera l’episcopato desidera un buon ufficio (1 Tim. 3, 1), e
l’adoperano ai fini della propria concupiscenza. Egli tuttavia pur lodando il desiderio
volge subito in motivo di timore ciò che ha lodato, perché immediatamente aggiunge: