Page 8 - La Regola Pastorale
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nascosta una città posta su un monte, né si accende una lampada e la si pone sotto un
moggio, ma sopra il candelabro perché faccia luce per tutti coloro che sono in casa
(Mt. 5, 15). Perciò dice a Pietro: Simone di Giovanni, mi ami? (Gv. 21, 17) E lui che
subito aveva risposto che lo amava si sentì dire: Se mi ami, pasci le mie pecore (Gv. 21,
17). Se dunque la cura pastorale è testimonianza d’amore, chiunque ricco di virtù rifiuta
di pascere il gregge di Dio ha in ciò stesso la prova che egli non ama il Pastore sommo.
Perciò Paolo dice: Se Cristo è morto per tutti, dunque tutti sono morti, e se è morto per
tutti resta che coloro che vivono non vivano pia per sé ma per colui che è morto per
loro ed è risorto (2 Cor. 14, 15). Perciò ancora Mosè dice che un fratello che sopravvive
al fratello morto senza figli ne sposi la moglie e generi figli a nome del fratello; e se
rifiuterà di prenderla la donna gli sputi in faccia e il parente più prossimo di lei gli tolga
un sandalo, e la sua abitazione sia detta casa dello scalzato (cf. Deut. 25, 5). Ora, il
fratello morto è certamente colui che apparendo dopo la sua gloriosa risurrezione disse:
Andate, dite ai miei fratelli (Mt. 28, 10). Egli è come morto senza figli, poiché non ha
completato il numero dei suoi eletti, e allora al fratello superstite viene ordinato di
ricevere la sua sposa.
Poiché è certamente cosa degna che la cura della Santa Chiesa venga imposta a chi più
di ogni altro è in grado di governarla. E se egli non vuole, la donna gli sputa in faccia,
giacché chiunque non ha cura di giovare agli altri coi doni che ha ricevuto, la Santa
Chiesa gli rimprovera anche ciò che egli fa di buono ed è come se gli gettasse saliva in
faccia. Ma egli è anche colui a cui viene tolto il sandalo da un piede così che la sua casa
sia detta dello scalzato, poiché è scritto: Calzati i piedi per prepararsi al annunciare
l’Evangelo della pace (Ef. 6, 15). Dunque proteggiamo ambedue i piedi coi sandali se ci
prendiamo cura degli altri come di noi stessi; ma è come se perdesse con vergogna il
sandalo da un piede colui che pensando alla propria utilità trascura quella del prossimo.
Così, come abbiamo detto, ci sono alcuni ricchi di grandi doni i quali ardono dal
desiderio della sola contemplazione e rifiutano di assoggettarsi all’utilità del prossimo
attraverso il servizio della predicazione, perché amano la quiete appartata e aspirano alla
meditazione in solitudine. Se si dovesse giudicarli con rigore sotto questo aspetto, essi
sono responsabili nei confronti di tante anime, quante sono quelle cui avrebbero potuto
giovare venendo a stare fra gli uomini. In effetti con quale pensiero colui che avrebbe
potuto brillare nella sua dedizione a vantaggio del prossimo prepone il proprio ritiro alla
utilità degli altri, quando lo stesso Unigenito del Sommo Padre, per giovare a molti, è
uscito dal seno del Padre (cf. Gv. 1, 18; 8, 42; ecc.) per venire fra gente come noi?
6 — Coloro che fuggono il peso del governo delle anime per umiltà sono veramente
umili quando non resistono al decreto divino
Ci sono poi alcuni che rifiutano solo per umiltà, per non essere cioè preferiti a coloro ai
quali si stimano inferiori. La loro umiltà, se si circonda anche delle altre virtù, è
certamente vera agli occhi di Dio, perché essa non si ostina a respingere ciò cui le viene
ordinato di sottomettersi come cosa utile. Non è veramente umile cioè colui che capisce
di dovere stare alla guida degli altri per decreto della volontà divina e tuttavia disprezza
questa preminenza. Se invece è sottomesso alle divine disposizioni e alieno dal vizio
dell’ostinazione ed è già prevenuto con quei doni coi quali può giovare agli altri,
quando gli viene imposta la massima dignità del governo delle anime, egli deve
rifuggire da essa col cuore, ma pur contro voglia deve obbedire.