Page 13 - La Regola Pastorale
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è capace di drizzare verso l’alto la sua meditazione. È di costoro che il salmista dice:
Sono incurvato e umiliato in ogni tempo (Sal. 37, 7). Anche la Verità in persona
rimprovera la loro colpa, dicendo: Il seme caduto fra le spine sono coloro che dopo
avere udito la parola, se ne vanno e vengono soffocati dalle sollecitudini, dalle
ricchezze e dai piaceri della vita e non portano frutto (Lc. 8, 14).
Il cisposo è colui il cui ingegno è lucido e acuto per la conoscenza della verità, e tuttavia
le sue azioni carnali lo oscurano. In effetti, negli occhi cisposi le pupille sono sane, ma
le palpebre, malate per la continua secrezione di umore si gonfiano, e per la frequenza
di questo deflusso si indeboliscono così che anche la acutezza della pupilla ne resta
menomata. E ci sono alcuni la cui sensibilità resta ferita da una vita dedita ad attività
carnali: la sottigliezza d’ingegno consentirebbe loro di scorgere ciò che è retto, ma essi
sono oscurati dalla pratica di un agire depravato. Così è cisposo colui a cui la natura ha
fatto acuta la sensibilità ma il suo comportamento corrotto la confonde. Ben vien detto
loro, per mezzo dell’angelo: Ungi col collirio i tuoi occhi per vedere (Ap. 3, 18). Allora
ungiamoci gli occhi col collirio per vedere e aiutiamo con la medicina di un buon
operare l’acutezza del nostro intelletto, per conoscere lo splendore della vera luce. Ha
l’albugine nell’occhio colui al quale l’accecamento, prodotto dalla sua presunzione di
sapienza e di giustizia, non permette di vedere la luce della verità. Infatti, se la pupilla
dell’occhio è nera, vede, ma se porta una macchia bianca, non vede nulla. Poiché è
chiaro che, se l’uomo nella sua meditazione si riconosce stolto e peccatore, giunge
all’esperienza della chiarezza interiore. Se invece egli si attribuisce la candida
lucentezza della sapienza e della giustizia, si esclude da sé dalla conoscenza della luce
divina; e tanto meno riesce a penetrare la chiarezza della vera luce, quanto più per la sua
presunzione si esalta ai propri occhi. Come è detto di certuni: Dicendo di essere sapienti
sono divenuti stolti (Rom. 1, 22). È poi affetto da scabbia persistente colui che è
dominato da una incessante richiesta della carne. Infatti, nella scabbia è come se
l’ardore delle viscere affiorasse sulla pelle, e con essa giustamente si designa la lussuria
poiché se la tentazione del cuore si affretta a esprimersi negli atti, è appunto un ardore
intimo che prorompe come scabbia della pelle, e ormai esteriormente copre il corpo di
piaghe; poiché il piacere che non si sa reprimere nel pensiero, domina poi anche
nell’azione. E Paolo si preoccupava di come togliere il prurito dalla pelle quando
diceva: Non vi colga alcuna tentazione se non umana (1 Cor. 10, 13); come a dire: è
certamente umano che il cuore sopporti una tentazione, ma è demoniaco, nella lotta con
la tentazione, lasciarsi vincere da essa mettendola in opera. Similmente è come chi ha
l’erpete nel corpo chiunque ha l’animo devastato dall’avidità, che se non è contenuta
nelle piccole cose è inevitabile che si espanda oltre misura. L’erpete in effetti ricopre il
corpo in modo indolore e, senza alcun fastidio di colui che ne è colpito, si ingrandisce
deturpando il decoro delle membra; allo stesso modo l’avidità, mentre dà quasi
l’impressione di procurare piacere a colui che ne è preso, di fatto gli piaga l’anima e
mentre gli rappresenta al pensiero quanto può ancora giungere a possedere, lo accende
alla discordia senza provocargli però dolore alla ferita, perché promette, all’animo che
arde per essi, abbondanza di beni derivanti dalla colpa stessa. Ma il decoro deturpato
delle membra significa che la bellezza delle altre virtù è corrotta a causa dell’avidità, e
come l’erpete devasta tutto il corpo, così l’avidità distrugge l’animo con tutti gli altri
vizi, secondo l’insegnamento di Paolo che dice: La cupidigia è radice di tutti i mali (cf.
1 Tim. 6, 10). E il malato di ernia è chi non pratica il vizio e tuttavia ne ha la mente
gravata dal pensiero continuo e smodato; e se di fatto non è trascinato fino all’atto del
peccato, tuttavia il suo animo gode del piacere della lussuria senza alcuno stimolo a