Page 16 - La Regola Pastorale
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al Signore, sempre (Es. 28, 30). Per il sacerdote, portare il giudizio dei figli di Israele
sul petto davanti al Signore, significa trattare le cause dei sudditi avendo di mira solo la
volontà del Giudice interiore, perché ad essa nulla si mescoli di umano in ciò che egli
dispensa come rappresentante di Dio né alcun risentimento personale inasprisca l’ardore
della correzione. E quando si mostra pieno di zelo contro i vizi altrui, persegua
innanzitutto i propri perché una invidia nascosta non contamini la pacatezza del
giudizio, o non la turbi un’ira precipitosa. Ma considerando il sacro terrore che si deve a
colui che sta sopra a tutto, cioè l’intimo Giudice, non si devono governare i sudditi
senza grande timore: quel timore che mentre umilia l’animo di chi governa lo purifica,
perché la presunzione spirituale non lo esalti né lo contamini il piacere carnale o non lo
oscurino sconvenienti pensieri terrestri, frutto della cupidigia di cose mondane. Tutte
queste tentazioni non possono non assalire l’anima di chi governa, ma è necessario
affrettarsi a lottare contro di esse per vincerle affinché, per il fatto che l’anima tarda a
respingerle, il vizio che la tenta con la suggestione non la sottometta con la mollezza del
piacere e non la uccida con la spada del consenso.
3 — La guida delle anime sia sempre esemplare nel suo agire
La guida delle anime sia esemplare nel suo agire per potere annunciare ai sudditi, col
suo modo di vivere, la via della vita; e il gregge che va dietro alla voce e ai costumi del
Pastore, proceda più con l’aiuto dei suoi esempi che delle sue parole. Infatti, chi per
dovere indeclinabile del suo ministero è tenuto a dire cose elevate, dal medesimo dovere
è costretto a mostrare cose elevate nei fatti; giacché il cuore degli ascoltatori è più
facilmente penetrato dalle parole che trovano conferma nella vita di chi parla, il quale
con l’esempio aiuta ad eseguire ciò che comanda a parole. Perciò è detto per mezzo del
profeta: Sali su un monte eccelso, tu che evangelizzi Sion (Is. 40, 9). Cioè, chi pratica la
divina predicazione deve mostrare che, abbandonando le più basse attività terrestri, sta
saldo al di sopra delle cose; e tanto più facilmente può attirare i sudditi verso il meglio,
quanto è con il merito della sua vita che egli grida le verità celesti. Per questo, per la
legge divina, nel sacrificio il sacerdote riceve la spalla destra separata dal resto (cf. Es.
29, 22), perché la sua condotta non sia solo utile ma anche esemplare, il suo agire sia
retto non solo tra i cattivi ma egli superi per le virtù della sua vita anche i sudditi che
operano il bene come è superiore a loro, per la dignità dell’Ordine. A lui, poi, viene
assegnata, come cibo, oltre alla spalla, anche la parte tenera del petto, perché quanto gli
è prescritto di prendere dal sacrificio impari ad immolarlo in se stesso al Creatore. Ed
egli non deve solamente meditare retti pensieri nel suo petto, ma invitare quanti lo
osservano ad azioni elevate, indicate dalle spalle: non aspiri alla prosperità della vita
presente, non tema le avversità, disprezzi le lusinghe del mondo come per un intimo
senso di terrore, ma poi, ai terrori che esse suscitano, non badi, volgendosi al conforto
della dolcezza interiore. E per questo la parola divina ordina pure che le spalle del
sacerdote siano avvolte dal velo omerale (cf. Es. 29, 5), perché egli sia sempre difeso
dall’ornamento delle virtù contro l’avversità e contro la prosperità affinché, secondo la
parola di Paolo, avanzando con le armi della giustizia a destra e a sinistra (cf. 2 Cor. 6,
7) e indirizzando ogni sforzo solo verso i beni interiori, non pieghi né da un lato né
dall’altro verso alcun basso piacere.
Non lo esalti la prosperità, non l’abbatta l’avversità, nessuna lusinga lo alletti fino a
fargli ricercare il piacere; l’asprezza delle difficoltà non lo spinga alla dispersione, e
così, senza che alcuna passione trascini verso il basso la tensione del suo spirito, egli