Page 18 - La Regola Pastorale
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per mezzo del profeta, il Signore li rimprovera dicendo: Cani muti che non sanno
abbaiare (Is. 56, 10). Per questo ancora, si lamenta dicendo: Non siete saliti contro, non
avete opposto un muro in difesa della casa d’Israele, per stare saldi in combattimento
nel giorno del Signore (Ez. 13, 5). Salire contro è contrastare i poteri di questo mondo
con libera parola in difesa del gregge; e stare saldi in combattimento nel giorno del
Signore è resistere per amore della giustizia agli attacchi dei malvagi. Infatti, che cos’è
di diverso, per un Pastore, l’avere temuto di dire la verità dall’avere offerto le spalle col
proprio silenzio? Ma chi si espone in difesa del gregge, oppone ai nemici un muro in
difesa della casa di Israele. Perciò di nuovo viene detto al popolo che pecca: I tuoi
profeti videro per te cose false e stolte e non ti manifestavano la tua iniquità per
spingerti alla penitenza (Lam. 2, 14). È noto che nella lingua sacra spesso vengono
chiamati profeti i maestri che, mentre mostrano che le cose presenti passano, insieme
rivelano quelle che stanno per venire. Ora, la parola divina rimprovera costoro di vedere
cose false, perché mentre temono di scagliarsi contro le colpe, invano blandiscono i
peccatori con promesse di sicurezza: essi non svelano le iniquità dei peccatori perché si
astengono col silenzio dalle parole di rimprovero. In effetti le parole di correzione sono
la chiave che apre, poiché col rimprovero lavano la colpa che, non di rado, la persona
stessa che l’ha compiuta ignora.
Perciò Paolo dice: (Il vescovo) sia in grado di esortare nella sana dottrina e di
confutare i contraddittori (Tit. 1, 9). Perciò viene detto per mezzo di Malachia: Le
labbra del sacerdote custodiscano la scienza e cerchino la legge dalla sua bocca,
perché è angelo del Signore degli eserciti (Mal. 2, 7).
Perciò per mezzo di Isaia il Signore ammonisce dicendo: Grida, non cessare, leva la tua
voce come una tromba (Is. 58, 1). E invero chiunque si accosta al sacerdozio assume
l’ufficio del banditore perché, prima dell’avvento del Giudice che lo segue con terribile
aspetto, egli lo preceda col suo grido. Se dunque il sacerdote non sa predicare, quale
sarà il grido di un banditore muto? Ed è perciò che lo Spirito Santo, la prima volta, si
posò sui Pastori in forma di lingue (Atti, 2, 3), poiché rende subito capaci di parlare di
Lui, coloro che ha riempiti. Perciò viene ordinato a Mosè che il sommo sacerdote
entrando nel tabernacolo si accosti con tintinnio di campanelli, abbia cioè le parole della
predicazione, per non andare con un colpevole silenzio incontro al giudizio di colui che
lo osserva dall’alto. È scritto infatti: Perché si oda il suono quando entra e quando esce
dal santuario in cospetto del Signore, e non muoia (Es. 28, 35). Così il sacerdote, che
entra o che esce, muore se da lui non si ode suono, poiché attira su di sé l’ira del
Giudice occulto se cammina senza il suono della predicazione. Inoltre, quei campanelli
sono descritti come opportunamente inseriti nelle sue vesti, perché le vesti del sacerdote
non dobbiamo intenderle altrimenti che come le sue buone opere, per testimonianza del
profeta che dice: I tuoi sacerdoti si rivestano di giustizia (Sal. 131, 9). Pertanto, i
campanelli sono inseriti nelle sue vesti, perché insieme al suono della parola, anche le
opere stesse del sacerdote proclamino la via della vita. Ma quando la guida delle anime
si prepara a parlare, ponga ogni attenzione e ogni studio a farlo con grande precauzione,
perché se si lascia trascinare a un parlare non meditato, i cuori degli ascoltatori non
restino colpiti dalla ferita dell’errore; e mentre forse egli desidera di mostrarsi sapiente
non spezzi stoltamente la compagine dell’unità. Perciò infatti la Verità dice: Abbiate
sale in voi e abbiate pace tra voi (Mc. 9, 49). Col sale è indicata la sapienza del Verbo.
Pertanto chi si sforza di parlare sapientemente, tema molto che il suo discorso non
confonda l’unità degli ascoltatori. Perciò Paolo dice: Non sapienti più di quanto è
opportuno, ma sapienti nei limiti della sobrietà (Rom. 12, 3). Perciò nella veste del