Page 22 - La Regola Pastorale
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che  fa  di  male,  anzi,  per  lo  più  sono  disposti  a  lodarlo  anche  quando  dovrebbero
                  disapprovarlo; allora il suo animo si innalza al di sopra di sé sedotto da tutto ciò che gli
                  viene elargito dal basso. Così, circondato all’esterno da grandissimo favore, si svuota
                  interiormente  della  verità  e  dimentico  della  sua  realtà  profonda  si  disperde
                  compiacendosi dell’apprezzamento altrui e si crede tale quale è la sua fama al di fuori,
                  non quale dovrebbe riconoscersi nel proprio intimo. Disprezza i sudditi, non li riconosce
                  uguali a sé secondo l’ordine naturale e si immagina di avere superato, anche per i meriti
                  della propria vita, coloro che gli stanno sottoposti a motivo di un potere datogli in sorte.
                  Si giudica più sapiente di tutti coloro dei quali si vede più potente. Nella stima che ha di
                  se stesso si è come stabilito su una cima e sdegna di guardare agli altri come a uguali,
                  lui che pure è legato a loro dalla condizione di una, uguale natura. E così diviene simile
                  a colui di cui è scritto: Vede ogni sublime altezza ed egli stesso è re sopra tutti i figli
                  della  superbia  (Giob.  41,  25),  a  colui  cioè  che  aspirando  a  un  luogo  più  elevato  e
                  disprezzando la comune vita degli angeli dice: Porrò la mia dimora presso l’Aquilone e
                  sarò  simile  all’Altissimo  (cf.  Is.  14,  13-14).  Pertanto  egli  scoprì  dentro  di  sé,  per
                  mirabile giudizio  divino, un abisso di  abiezione poiché al  di  fuori  si era innalzato  al
                  culmine  del  potere.  E  così  diviene  simile  all’angelo  apostata  l’uomo  che  sdegna  di
                  essere  simile  agli  altri  uomini.  Similmente  Saul,  dopo  avere  ben  meritato  per  la  sua
                  umiltà, si gonfiò di superbia per l’altezza del suo potere; per l’umiltà fu scelto ma fu
                  riprovato per la superbia, secondo la testimonianza del Signore che dice: Non ti costituii
                  forse capo tra  le tribù di  Israele quando eri  piccolo  ai  tuoi occhi?  (1 Sam.  15, 17).
                  Prima si era visto piccolo coi suoi occhi ma poi, sostenuto dalla sua potenza mondana,
                  non  si  vedeva  più  piccolo.  Infatti,  preferendo  se  stesso  a  paragone  degli  altri  poiché
                  aveva  un  potere  superiore  a  tutti,  si  stimava  più  grande  di  tutti.  Ma  come  —
                  mirabilmente — per essere piccolo davanti a se stesso fu grande davanti a Dio, quando
                  appari grande davanti a se stesso divenne piccolo davanti a Dio. Dunque accade spesso
                  che  l’animo  si  gonfia  perché  è  grande  il  numero  di  coloro  che  gli  sono  soggetti  e,
                  adulato  dalla  sola  altezza  della  sua  potenza,  esso  si  corrompe  effondendosi  nella
                  superbia. Ma questa potenza, evidentemente, la regge bene chi  sa tenerla in  pugno e
                  insieme combatterla; la regge bene chi sa, con essa, erigersi sopra le colpe, e con essa sa
                  essere  uguale  agli  altri.  Infatti  la  mente  umana  spesso  si  esalta  anche  quando  non  si
                  sostiene su alcun potere; quanto più si leverà in alto se le si aggiunge anche il potere.
                  Però  il  potere  può  essere  ben  esercitato  da  chi  sa  trarre  da  esso  ciò  che  giova  e  sa
                  vincere le tentazioni che esso ispira e, pur possedendolo, sa vedersi uguale agli altri e
                  insieme  sa  anteporsi  ai  peccatori  per  lo  zelo  della  punizione.  E  se  consideriamo
                  l’esempio del primo Pastore, possiamo riconoscere più pienamente in che cosa consiste
                  questa  discrezione.  Infatti  Pietro  che  pure  teneva  il  primato  nella  Santa  Chiesa,  per
                  volontà  di  Dio,  ricusò  di  accogliere  i  segni  di  una  venerazione  fuor  di  misura  da
                  Cornelio, uomo buono che faceva il bene, il quale gli si era umilmente prostrato; ma
                  riconoscendosi invece simile a lui gli disse:  Alzati, non farlo, sono un uomo anch’io
                  (Atti, 10, 26). Quando però scopri la colpa di Anania e di Saffira (cf. Atti, 5, 5), mostrò
                  subito per quale potenza egli fosse divenuto preminente sugli altri. Infatti con una sola
                  parola  colpi  la  loro  vita  che  egli  aveva  conosciuto  col  discernimento  spirituale  e  si
                  ricordò di essere la somma autorità nella Chiesa contro i peccati; cosa che non volle
                  riconoscere  di  fronte  a  fratelli  buoni  e  attivi  nel  bene,  per  un  onore  che  gli  veniva
                  tributato con trasporto. E in questo caso, la santità delle opere meritò di essere accolta in
                  una  comunione  tra  uguali;  nell’altro,  lo  zelo  della  punizione  provocò  l’esercizio  del
                  potere. Paolo non si considerava preposto ai fratelli attivi nel bene quando diceva: Non
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